È un paese per vecchi

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Prendiamo in prestito, modificandolo, il titolo del film dei fratelli Cohen del 2007 e, ancor prima, del libro di Cormac McCarthy, di qualche anno precedente. Il nostro sì che è un Paese per vecchi. È un caso se libro e film risalgano grosso modo a dieci anni fa, attorno a quel 2006 che ci vide sul tetto del mondo calcistico. Senza dimenticare le infinite contraddizioni di un paese tanto bello quanto prospero di cose mal funzionanti, riflettiamo sulla notizia del giorno per l’italiano che ama il calcio: l’eliminazione della Nazionale dai Mondiali. Anzi, sarebbe più giusto dire la mancata qualificazione agli stessi.

Gli Azzurri di Gian Piero Ventura lunedì sono riusciti nell’impresa di bissare un disonore vecchio di sessant’anni: niente mondiale in Svezia per “colpa” della piccola Irlanda del Nord. Nel ’58 fu l’allora cittì Alfredo Foni a essere messo sulla graticola, oggi tocca al tecnico genovese. Ma la sostanza non cambia: a giugno in Russia l’Italia non ci sarà. Ora brucia, ma fra qualche giorno riprende la Serie A (e lo farà alla grande col derby di Roma e con la sfida del San Paolo fra Napoli e Milan) e ci distrarremo, almeno fino alla fine dei campionati, quando la ferita inevitabilmente si riaprirà e guarderemo un Mondiale da spettatori malinconici.

Tante le cause del fallimento azzurro, nelle ventiquattro ore del dopo partita si è detto e letto di tutto: dalla presenza di troppi stranieri nel nostro campionato, alla mancanza di un progetto tecnico vero e proprio, passando per un’effettiva pochezza nel gioco espresso da chi è sceso in campo. Senza contare che le scelte di Ventura sono sembrate quantomeno opinabili (Insigne in panchina per novanta minuti a San Siro è la più criticata). Eppure, è almeno dal 2010 che si parla di rifondazione. Il Lippi bis fu un fiasco totale, ma nemmeno Prandelli ai Mondiali del 2014 fece meglio.

Rifondazione. Giusto, ma bisogna metterla in atto e non solo riempirsi la bocca di sani propositi. Il primo passo imprescindibile è puntare sui giovani. E questa, pensandoci bene, è la cosa più difficile. È un paese per vecchi il nostro, un paese che fa fatica a credere nelle potenzialità del nuovo che avanza e che paga a caro prezzo l’esodo di menti brillanti. Con le debite proporzioni, nel calcio italiano accade puntualmente la stessa cosa, almeno dal 2006 in poi.

Alcuni dati supportano la nostra tesi. Tra andata e ritorno, mister Ventura ha impiegato 18 giocatori e la media età recita 28,7 anni. Se ci soffermiamo solo agli undici iniziali, invece, il dato sale ulteriormente: 30,5 anni la media età dei titolari scesi in campo a Solna, 30 anni spaccati per quelli di San Siro. Gli unici giovani impiegati con costanza, di fatto, sono stati Verratti (25 anni, 76 minuti giocati in Svezia, ma squalificato per il ritorno), Jorginho (25 anni, 90 minuti), Belotti (23 anni, 100 minuti) e Immobile (27 anni, 180 minuti). Nessun ventenne in campo; a far compagnia al ventitreenne Belotti, il solo Bernardeschi, che ha giocato appena venti minuti nella gara di ritorno.

In compenso, numerosi gli over 30: Buffon (39), Barzagli (36), Bonucci (30), Chiellini (33), Candreva (30) e Parolo (32) hanno praticamente giocato sempre. De Rossi (34) ha fatto 95 minuti in trasferta e stava per essere “pescato” anche a San Siro. Senza nulla togliere a questi mostri sacri, ai quali saremo per sempre riconoscenti, sia chiaro, è evidente che c’è un problema di fondo: non crediamo nei giovani.

Peccato, perché se l’immediato post 2006 era stato difficile da questo punto di vista, ora qualcosa c’è. E pensiamo soprattutto a difesa e centrocampo, dove sarebbe stato auspicabile l’inserimento in pianta stabile di alcuni ragazzi come Rugani (23), Romagnoli (22), Caldara (23), Pellegrini (21), Gagliardini (23) o Barella (20). Senza dimenticare Donnarumma (18 anni), già ampiamente individuato da Buffon come suo degno successore. Molti senatori hanno di fatto dato l’addio alla Nazionale dopo questa batosta, l’Italia che verrà dovrà necessariamente dare fiducia alla nuova leva calcistica. È questo il primo passo per rifondare, una volta per tutte.

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Francesco Cucinotta
Francesco Cucinotta
Sardo di origini sicule, ama il calcio dalle “notti magiche” di Italia ’90. Laureato in Comunicazione con una tesi sulla lingua del calcio e pubblicista dal 2010. Per anni inviato al seguito del Cagliari Calcio per Radio Sintony.

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