NCAA FOOTBALL – Boise State: “The Blue” is the new green

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Oregon Trail, prima metà del 1800: il capitano della marina americana Benjamin Bonneville, dopo aver percorso svariati sentieri sterrati in zone aride alla ricerca di un punto panoramico dal quale poter ammirare l’intera vallata, giunge assieme al suo gruppo di esploratori alle porte della Treasure Valley. Secondo la storia, una guida in lingua francese, sopraffatta dalla vista mozzafiato del fiume dalle acque verdi, gridò “Le bois, le bois!“, “Il bosco, il bosco!”. Questa è una delle origini che si attribuiscono alla cittadina di Boise, perla incastonata sui declivi del versante ovest delle Montagne Rocciose.

Il Campidoglio dell’Idaho, una discreta schiera di jazzisti di livello nazionale, una folta comunità basca e poco altro a Boise, non fosse per la presenza appena fuori dal centro città dell’università statale. Le glorie dei Boise State Broncos non sono molte e tutte piuttosto recenti (Fiesta Bowl 2007 ad esempio), ma c’è un particolare che rende la squadra locale una vera e propria attrazione per tutti gli amanti del football americano: l’Albertsons Stadium.

Spostiamo di nuovo indietro le lancette dell’orologio e torniamo per un attimo nel 1986. Gene Bleymaier, direttore atletico dei Broncos del tempo, si trova su un aereo, perso fra i suoi pensieri. Riflette sul denaro che il programma dovrà spendere da lì a poco per rifare il terreno di gioco dell’Albertsons Stadium: “750mila dollari e nessuno si accorgerà dei miglioramenti che abbiamo effettuato”. Visti gli inverni rigidi dell’Idaho e l’esoso dispendio economico che un manto erboso comporta ogni stagione, sin dall’apertura dell’impianto nel 1970 Boise State ha sempre propeso per una superficie sintetica. “Tutti sanno che non è erba vera, quindi che differenza fa se è verde o di un altro colore?”.

Blu e arancio sono da sempre i colori dell’università; nel 1986 la pista di atletica attorno al campo è arancione e l’idea di trasformare il sintetico da verde a blu prende forma. Dopo una valutazione fatta assieme all’azienda produttrice AstroTurf e un’intesa con il rettore John Keyser, Bleymaier da il via al cambiamento. In poche ore le penne del settore sono in viaggio verso Boise; tutti vogliono vedere il nuovo “The Blue“.

Foto: Twitter @kdill1235

La nuova veste dello stadio ha portato fama e attenzione attorno ai Broncos e alla città di Boise. Non meraviglia quindi il fatto che in trent’anni il numero degli iscritti sia triplicato, fino ad arrivare ai 22mila studenti attuali. Questo incremento ha aumentato esponenzialmente l’endowment del campus (dote a livello economico) e ha permesso il reclutamento di atleti di alto spessore. Giocare al “The Blue” è diventato un onore e un privilegio per i giocatori di casa, un incubo per gli avversari in trasferta, poiché risulta piuttosto difficile infatti capire le distanze e adattarsi ad esse su un campo dal colore non convenzionale. Grazie a ciò Boise State è diventata una fortezza praticamente inespugnabile: dal 2000 ad oggi le vittorie casalinghe sono state centoquattro su centoundici partite giocate.

Non tutti hanno però avuto belle parole per il “The Blue“: da una parte alcuni lo hanno ribattezzato “The Smurf Turf“, collegandolo al cartone animato de “I Puffi“; parte degli sfavorevoli al progetto, dall’altra, si sono convinti che la colorazione blu del campo avrebbe disturbato la massiccia presenza di anatre canadesi nella zona, le quali avrebbero potuto scambiarlo per un lago e planarci in mezzo a gioco in corso. Poco importa degli scettici quando tutto il mondo conosce il tuo stadio: il libro degli ospiti, custodito nella Hall of Fame dell’Albertson Stadium, conta 12mila firme, provenienti da tutti e cinquanta gli stati d’America e da trentasette nazioni diverse del pianeta.

Altre università, con minori fortune, hanno voluto seguire l’esempio di Boise: Coastal Carolina ha scelto per il proprio sintetico il verde acqua, Eastern Washington il rosso, Central Arkansas il grigio e il viola. Bleymaier, Keyser e i Broncos sono riusciti nell’intento di creare un vero e proprio mito per gli amanti del football americano. Un’idea banale, partorita fra i pensieri di un volo aereo, che si è rivelata unica, fortunata e precorritrice dei tempi.

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Jacopo Bravi
Jacopo Bravi
Friulano, classe 1987, è dai tempi della presidenza Lincoln che segue gli sport americani. Autodidatta di storia a stelle e strisce, ama il football, l'hockey, i film western, il bourbon e la musica country.

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