L’ipotesi del tortellino e la crisi del tennis azzurro

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Piombata come un fulmine a ciel sereno nell’assolata estate italiana, la notizia della squalifica di Sara Errani per doping rischia di essere un brutto colpo per il tennis azzurro. Non tanto per la sospensione, che durerà “solo” due mesi, quanto per le conseguenze a livello di immagine che, inevitabilmente, ne scaturiscono. Prima ancora di dire la nostra sulla vicenda, ricostruiamo i fatti. A febbraio di quest’anno la tennista emiliana viene trovata positiva al letrozolo, una sostanza considerata alla stregua degli anabolizzanti anche se rientrante nella categoria dei medicinali ormonali e metabolici. La notizia le viene comunicata ad aprile, ma la Errani decide di continuare a giocare in attesa della sentenza del Tribunale ITF.

Lei si ritiene innocente, non avendo ingerito volontariamente alcuna pastiglia che contiene quella sostanza. La sua tesi difensiva si basa sul fatto che la madre, in cura dal 2012 per i postumi di un tumore al seno, utilizza regolarmente il Femara, un farmaco contenente letrozolo. E allora qual è il legame tra la sua positività e i medicinali prescritti alla mamma? L’unica ipotesi percorribile è quella della contaminazione del cibo: un’ipotesi che lo stesso codice WADA non scarta del tutto, visto che, oltre a determinare rispettivamente in quattro e due gli anni di squalifica (a seconda che l’assunzione sia consapevole o inconsapevole), prevede la riduzione o addirittura la cancellazione della sospensione nel caso in cui l’atleta riesca a dimostrare la mancanza di colpa o negligenza.

Nel caso specifico, Sara Errani, per avvalorare la sua tesi difensiva si sottopone anche a esame del capello, come da lei stessa affermato. Questo tipo di test permette di verificare se l’assunzione è stata regolare oppure solamente episodica. E i risultati sono confortanti, perché escludono l’utilizzo continuativo. Un altro elemento a favore della tennista, che ottiene così dal Tribunale la pena minima (2 mesi), più la revoca dei premi nel periodo intercorso tra la scoperta della positività e la sentenza. È chiaro che nessuno, meglio di un tribunale, può verificare e decidere cosa sia realmente successo. Anche perché stiamo parlando di un argomento delicato, sul quale solamente in pochi possono fregiarsi di sapere qualcosa. Certo, l’ipotesi che una pasticca sia scivolata dentro un piatto di tortellini in brodo sembra fantasiosa, quanto meno strappa un sorriso. Ma, a parte la spiegazione del tortellino, quando un atleta riesce a convincere un giudice di essere “estraneo” a un fatto a lui attribuitogli non si può che credere alla sentenza finale.

La tennista bolognese, pur non potendo partecipare all’attività agonistica per i prossimi due mesi, avrà comunque modo di allenarsi e finire la stagione. Certamente sarà infastidita dalla situazione e dal possibile danno di immagine, ma poteva andarle molto peggio. Nel canottaggio, per la positività alla stessa sostanza, a Niccolò Mornati fu preclusa la possibilità di partecipare alle Olimpiadi di Rio. Nel suo caso venne accettata la tesi della non intenzionalità, ma l’azzurro vide solamente ridurre la sua squalifica da quattro a due anni.

Purtroppo il tennis italiano si fa notare più per le vicende extra-campo che per quelle prettamente sportive. Così le vittorie di Francesca Schiavone al Roland Garros (2010) e di Flavia Pennetta all’US Open (2015) sembrano lontane secoli. Sono successe tante cose da durante questi anni (dal pasticcio-Giorgi per le convocazioni in Fed Cup al questione Bracciali-Starace in tema di scommesse) ma troppo poche significative sul campo. Occorre ripensare a una programmazione seria, che metta il tennista al centro del progetto. In Italia manca questo, forse da sempre. Se i migliori giocatori emergono a 26-27 anni – quando va bene – e/o devono emigrare all’estero per poter fare il salto di qualità, allora c’è qualcosa che non va. La Federazione Italiana Tennis, che si professa unico ente in grado di insegnare questo sport, dovrebbe ripensare ai suoi errori e inglobare, anziché escludere. Altrimenti il futuro rischia di essere tutt’altro che radioso.

Simone Galli
Simone Galli
Empolese e orgoglioso di esserlo, ha cominciato ad amare il calcio incantato dal mito di Van Basten. Amante dei viaggi, giocatore ed ex insegnante di tennis, attualmente collabora con pianetaempoli.it.

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