Una finale di alto livello

-

Rispetto al maschile, il calcio femminile europeo è da sempre dominato dalle nazionali del nord del continente.
Se tale consideriamo, infatti, la Germania, allora ecco che l’albo d’oro è praticamente un monocolore – la Prima Repubblica ci presterà questa parola – nordico: scandinave (Norvegia, Svezia), tedesche e nulla più.
Mi sia concesso un pizzico di patriottismo nel far notare, se andiamo a considerare anche le versioni pionieristiche e non ufficiali della manifestazione, che italiano è l’unico alloro mediterraneo: correva l’anno 1969 e tra Novara, Aosta e Torino la Nazionale mise al tappeto Francia (1-0) e Danimarca (3-1, davanti a 10 mila spettatori), conquistando un titolo attualmente non sanzionato dalla UEFA dato il carattere di non (semi)ufficialità del torneo.

Però conta: da lì in poi, passando per l’exploit delle stesse danesi sempre in Italia (2-0) 10 anni dopo, l’Europeo femminile ha visto affermarsi solo nazionali espressione di quel Nord Europa evidentemente all’avanguardia nel settore. Scuole calcio, tante e tante bambine praticanti, movimenti solidi e non solo nella moderna Frauen-Bundesliga o nella Damallsvenskan ma già all’edizione 1984 vinta dalla Svezia, o in quella 1987 portata a casa dalla Norvegia.

Dal nord, manco a dirlo, vengono le finaliste di quest’anno. Ma se rispettano la tradizione geografica dello UEFA Women’s Euro Championship, passaporti e carte d’identità stupiscono: via la Germania – eliminata ai quarti nella sorpresa del secolo, dopo 6 titoli consecutivi e 20 anni di regno – ma anche la Norvegia finalista 2013, così come la Svezia della leggenda Pia Sundhage, che a ripetere con la nazionale di casa i fasti del periodo americano proprio non ci riesce: 2-0 dall’Olanda padrona di casa e tanti saluti.

Restate in corsa, non senza sorprese, anche Austria, Danimarca e Inghilterra, proprio alle inglesi era passata – dopo una fugace parentesi in mani francesi – la palma del favorito: bel gioco, difesa superba, guida tecnica salda e sicura anche nella sua spavalderia.
E invece no, perché a Enschede l’Olanda è andata a far valere non solo il fattore campo ma proprio una migliore tenuta mentale e nervosa. Colpite a freddo da Miedema (43 gol in 56 presenze in nazionale, a 21 anni!), le inglesi si sono sciolte, in una frustrazione che rende legittimo – stavolta sì – il paragone col calcio maschile: la delusione di Jordan Nobbs assomiglia a quella di Paul Ince nel 1996, Jodie Taylor avrebbe rinunciato volentieri, un po’ come Shearer all’epoca, al titolo di capocannoniere in cambio della finale.

L’Olanda, bellissima realtà da cui dovremmo solo imparare (Milena Bertolini è il nome giusto), troverà la Danimarca. Campione semi ufficiale 38 anni fa che può ispirarsi ai ragazzi del 1992.
Nella partita che assegnerà lo scettro di leader del Vecchio Continente, la 12/a del ranking FIFA affronterà la 15/a. A casa la n. 2 (Germania), 3 (Francia), 5 (Inghilterra), 9 (Svezia) e 11 (Norvegia), ma non si parli di finale di basso livello: in campo ci vanno le giocatrici, mica i ranking.
E olandesi e danesi hanno portato a scuola tutte le altre.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

Wilkins, la nostra gioventù e il Piccolo Diavolo

La morte di Ray Wilkins, per noi che lo abbiamo visto giocare, ci ha colto impreparati. Sapevamo delle sue non buone condizioni di salute:...
error: Content is protected !!