Il sogno infranto di Appie Nouri

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Straordinario strumento di aggregazione sociale, in un mondo sempre più indirizzato verso un’esagerata “socialità virtuale” a cui spesso e volentieri non se ne accompagna una “reale”, il calcio è probabilmente il fattore comune di tutto il genere umano (o quasi): alzi una mano, infatti, chi da bambino non ha passato le ore migliori della sua infanzia correndo appresso ad una sfera, che fosse football o un altro sport.

Tutti noi (o perlomeno molti di noi) cresciamo giocando a pallone e rincorrendo il sogno, un domani, di poter ripercorrere le gesta di quegli idoli che spesso, in età infantile, assurgono quasi a parigrado dei supereroi; i più talentuosi, poi, quei sogni riescono a farli divenire ambizioni.

Era questo il caso di Abdelhak Nouri, per gli amici Appie; nato ad Amsterdam nel ’97 da genitori di origine marocchina, Nouri aveva infatti ricevuto in dono l’estro e la creatività di un pittore la cui tavolozza fosse un rettangolo d’erba con due porte, e che ricamasse le proprie creazioni con un pallone tra i piedi piuttosto che con un pennello tra le mani.

La stagione 2017/18 per Nouri doveva, o poteva, essere quella della consacrazione davanti al grande pubblico olandese e internazionale, sulla scia di quanto fatto magari nella passata stagione da Kasper Dolberg e Justin Kluivert per fare due esempi, e in virtù magari anche dell’apprododo sulla panchina ajacide di quel Marcel Keizer che delle prodezze di Nouri aveva tratto beneficio nella stagione appena conclusa con lo Jong Ajax (la “Primavera” dell’Ajax, militante in Seconda Serie) con Appie capace di refertare 10 reti e 11 assist.

Poteva, perchè la vita di Abdelhak “Appie” Nouri è cambiata per sembre l’8 luglio 2017, in un caldo pomeriggio austriaco durante un amichevole tra Ajax e Werder Brema: è da poco passato il 70’ infatti, quando Nouri si accascia al suolo, soccorso con urgenza dai medici a bordocampo che, constatata la gravità della situazione, tra la paura e lo sgomento dei calciatori di ambo le compagini predispongono un trasferimento via elicottero in ospedale.

Aritmia cardiaca,  questa la sentenza. La vera mazzata però, per Nouri e tutto il mondo dello sport, arriva qualche giorno dopo i primi positivi bollettini che escludevano lesioni di natura cardiaca: l’aritmia, infatti, ha generato danni cerebrali gravi e permanenti a Nouri, che oltre ovviamente a non essere più un calciatore potrebbe non essere più in grado di recuperare una vita normale.

Sgomento, tristezza, incredulità: queste le emozioni che hanno colpito il mondo ajacide diffondendosi poi a macchia d’olio fuori dall’Olanda, come testimoniano i tantissimi messaggi d’affetto giunti da vari  angoli del Mondo e la commovente folla accalcatasi fuori dalla casa del giovane Nouri per stringersi accanto alla famiglia del talento originario del Maghreb.

Superata l’onda emotiva generata dal drammatico incidente, verrà anche il momento di farsi delle domande, sul come e sul perchè della disgrazia che ha colpito Appie, e la misura nella quale la stessa potesse essere prevenuta. Sul perchè mentre il povero Nouri stramazzava al suolo, per un problema simile (ma probabilmente di lieve entità) veniva congelato il trasferimento di Schick alla Juventus, o quello di Foket del Gent a cui dopo oltre 100 presenze tra i professionisti in Belgio un’aritmia è stata diagnosticata solamente al momento delle visite mediche per l’Atalanta.

Un tema, quello dell’entità e della qualità dei controlli di natura medica sui calciatori di cui si discute da anni, con l’Italia perlomeno in questa circostanza spesso all’avanguardia. Discussioni relative a un tema che nel 2017 è inaccettabile ritenere attuale e che, purtroppo, si incendiano come al solito successivamente a una disgrazia, come quella di Abdelhak  Nouri, passato in una frazione di secondo dal rincorrere il sogno comune di tutti i bambini al dover cercare una via di fuga da un incubo infernale.

 

 

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

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