Football Freestyle, intervista al campione mondiale Luca Chiarvesio

-

Esiste uno sport, una forma d’arte, che si sta facendo largo negli ultimi anni: il football freestyle ha sempre più successo, un crescente numero di atleti e di appassionati. Abbiamo deciso di fare un tuffo in questo mondo, intervistando un vero pezzo da novanta: Luca Chiarvesio, freestyler italiano classe 1995, campione italiano e mondiale nel 2016.

Come ti sei appassionato al freestyle?

Da piccolo ho giocato nelle giovanili del Fagagna e successivamente del Pagnacco (due squadre in provincia di Udine), per poi tornare a Fagagna per i 2 anni di categoria “Allievi”. Nella nostra squadra c’erano alcuni ragazzi che durante gli allenamenti provavano qualche trick di freestyle come il famoso “giro del mondo” e io non lo sapevo fare; però volevo riuscirci, quindi ho iniziato a provare e riprovare, mi sono informato su Internet e ho trovato sia tutorial per i trick base (che già conoscevo e avevo visto), sia trick molto più avanzati, che ai tempi mi hanno fatto capire che in realtà il freestyle era un qualcosa di serio e, praticamente, uno sport a sé stante.

Quando hai iniziato a praticarlo?

Io indico sempre come inizio della mia carriera da freestyler il periodo tra aprile e maggio 2011, ovvero il periodo in cui ho iniziato a provare le prime cose partendo da zero. A dirla tutta il giro del mondo ero già riuscito a “chiuderlo” nel 2010, però poi avevo preso una piccola pausa (giocavo ancora a calcio e non pensavo ci fosse altro nel freestyle, forse qualche trick in più di Ronaldinho ma poi nulla, e invece mi sbagliavo di grosso), per poi iniziare seriamente nella primavera 2011. Da lì in poi non ci sono più state pause.

Quante ore ti alleni, in media, in un giorno?

Questa è una delle domande più frequenti che ricevo e ogni volta la risposta cambia! In effetti, dipende da diversi fattori, che possono essere: il tempo (sia quello atmosferico che quello che ho io a disposizione), la condizione fisica (se mi sono allenato 4-5 ore un giorno è molto probabile che le gambe non siano molto d’accordo sull’allenarsi il giorno dopo) e la motivazione del momento (diciamo che la motivazione è uno stato mentale, può esserci o non esserci; comunque devi fare il tuo “lavoro”, però quando sei motivato tutto riesce molto più facilmente). Quindi, se dovessi mettere tutto insieme e fare una media delle mie ore di allenamento, direi che mi alleno circa 2 ore al giorno per 6 giorni alla settimana. Ogni tanto un giorno di riposo dal freestyle è assolutamente necessario!

Quando hai iniziato a esibirti in pubblico?

Quando ho iniziato a fare freestyle lo vedevo per quello che era, ovvero acrobazie con la palla (chiamati trick in gergo tecnico) eseguite con diverse parti del corpo in diverse posizioni, una sorta di attività sportiva/artistica molto bella da vedere, che però consideravo solo un hobby e mai avrei pensato che mi avrebbe portato dove sono ora. Diciamo che per molti freestyler è stato così, non solo per me. Comunque, la mia prima esibizione ufficiale risale a gennaio 2012: mi trovavo a Venezia per uno show con altri 2 freestyler italiani, uno di Pesaro e uno di Bari. Ci trovammo in mattinata per poi fare lo show nel pomeriggio e rientrare a casa la sera. Il ragazzo di Bari si fece Bari-Venezia e Venezia-Bari praticamente lo stesso giorno, spero sia arrivato a casa tutto intero! Non dimenticherò mai questa giornata perché rappresenta la mia prima volta in una Live Performance.

Ti sei trovato subito a tuo agio o le prime volte hai avuto qualche difficoltà dovuta all’emozione?

Sicuramente la seconda. Quando una persona inizia a fare freestyle, i trick sono ancora molto difficili (per avere un livello decente nei trick base è necessario fare il dovuto allenamento e, secondo me, per essere in grado di fare uno show carino e completo, serve circa un anno di allenamento. Questo varia da persona a persona, infatti il mio primo show lo feci dopo soli 8-9 mesi, però avevo comunque un buon livello per fare un bello show. Capita ancora di essere emozionato, ovviamente dipende anche dal tipo di esibizione (se sono dentro uno stadio, davanti a 50.000 spettatori e so di poter sbagliare in qualsiasi momento, allora qualche preoccupazione ce l’ho) però diciamo che la ripetizione (allenamento) e l’esperienza accumulata nel corso degli anni mi aiutano a stare tranquillo.

In questa disciplina è più importante l’allenamento o il talento?

Sono da sempre tra le persone che dicono che il talento non esiste e che è solamente una condizione mentale. Se il talento vero esistesse nel freestyle, io avrei dovuto capire fin da piccolo che era lo sport per me; invece ero sempre quello che aveva difficoltà a palleggiare e mai avrei pensato di arrivare ai livelli attuali. Ritengo che l’allenamento sia molto importante, sicuramente, però ci sono determinate caratteristiche che possono aiutare un freestyler, come la flessibilità nelle gambe, i tempi di recupero, la resistenza agli infortuni e altri fattori simili. Secondo me, oltre a questi fattori e all’allenamento fisico, un freestyler, per essere veramente forte, non deve avere limiti nella testa, deve andare oltre; “think out of the box”, come si dice in inglese. Molto spesso la gente mi dice “Ma no, la combo che hai pensato non si può fare” e poi mi ritrovo a mostrarla in video alle stesse persone qualche mese dopo. Per me questo modo di pensare, l’andare oltre quello che gli altri ritengono possibile per poi contraddirli, è il vero talento. E direi che è l’ingrediente fondamentale per arrivare al top. Uno che si allena 2 ore al giorno e ha questa testa, rispetto a uno che magari si allena 10 ore al giorno e pensa nel modo sbagliato, otterrà sempre risultati migliori. Se poi uno si allena 10 ore al giorno (così per dire, non credo ce ne siano) e ci sta pure dentro mentalmente, allora sicuramente le carte in regola per diventare uno dei più forti di sempre le ha.

Quando giocavi a calcio che ruolo facevi?

Credo di aver fatto di tutto tranne il portiere. Ho fatto il difensore per qualche anno, agli inizi, per poi passare a fare l’attaccante in altre partite in cui il mister decideva di giocare il super jolly (io, modestamente); infine ho trovato una sistemazione stabile come trequartista nei due ultimi anni di calcio. In ogni caso, non sono mai stato un calciatore fortissimo. Livello normale, però non degno di arrivare in alto o di giocare nei grandi campionati. La tecnica che ho adesso grazie al freestyle, invece, è superiore a qualsiasi giocatore, anche di Serie A, però non sono interessato a giocare a calcio se non occasionalmente con alcuni amici o freestylers.

Qual è il tuo giocatore preferito? E il tuo freestyler preferito?

Non seguo molto il mondo del calcio da quando ho smesso di giocare; anzi, sinceramente vedo solo le partite della nazionale quando ci sono gli Europei o i Mondiali o altre partite di qualificazione, oltre a qualche big match quando capita (ma molto raramente). Comunque ci sono solamente due persone che posso menzionare e sono Messi e Cristiano Ronaldo. Se dovessi dire chi è più forte forse direi Messi, ma se dovessi sceglierne uno come preferito direi Ronaldo, essendo un esempio da seguire per tutti gli atleti del mondo di qualsiasi disciplina. Non so se ho un freestyler preferito, diciamo che è sempre cambiato nel corso degli anni. Però anche qui mi sento di fare due nomi e sono Andrew Henderson e Szymon Skalski. Il primo è il freestyler che ha vinto più titoli nella storia, ed è praticamente il Cristiano Ronaldo del freestyle, colui che rappresenta il duro lavoro. Il secondo è una leggenda del freestyle, si allena circa dal 2005 e molti lo considerano il più completo freestyler del mondo. Tra quei molti ci sono anche io, è sempre stato una grande fonte di ispirazione per me e tutt’ora lo è. L’unica differenza è che ora sono incredibilmente vicino al suo livello, mentre prima potevo solo guardare da lontano. Quindi sì, scelgo “Szymo”.

Nel giro di un mese sei stato proclamato campione italiano a Roma e campione mondiale nella categoria Challenge a Praga, a soli vent’anni:
quale l’emozione più grande?

Il 2016 è stato uno dei miei anni migliori come freestyler, oltre ad aver viaggiato molto per esibizioni e gare ho anche ottenuto titoli molto importanti. Mi sono allenato tanto per il campionato italiano a Roma, sapevo da mesi che si sarebbe fatto e sapevo di essere il più forte nel torneo; dovevo comunque stare attento perché c’erano alcuni avversari scomodi. Sono riuscito a mantenere la calma e alla fine ho portato a casa il titolo! A Praga, poi, è stato abbastanza incredibile. Lo stesso giorno dovevamo fare due competizioni, entrambe molto faticose e difficili da vincere. La prima si chiamava “Sick Three”, ovvero si trattava di eseguire la combo più difficile di tre trick. Mi sono alzato 30 minuti prima della gara e ancora sentivo le gambe stanche dal giorno prima, quindi ho deciso di saltarla e concentrarmi su quella in cui veramente potevo fare bene essendo non solo uno dei più forti in “Lower” (così si chiama lo stile in cui si palleggia in piedi con la parte inferiore del corpo) ma anche uno dei più completi. Questa era la “Challenge”, in pratica una maratona di 15 round in cui, in ogni round, bisogna eseguire la/e combo prestabilita/e e vince l’ultimo che rimane in gara. Essendo riposato dalla mattina e avendo la motivazione giusta per vincere sono riuscito a sopravvivere fino alla fine e a rimanere l’ultimo in gara, diventando così campione mondiale di Challenge. È bello vincere qualcosa in territorio nazionale ma quando riesci a far capire al mondo intero chi comanda (anche se solo per un anno) è tutt’altro tipo di emozione!

Ti senti più uno sportivo o un artista?

A dire il vero non me la sento di scegliere una delle due perché sì, sono uno sportivo nel momento in cui mi dedico al lato tecnico del freestyle, a tutte le combo estreme e ai trick più difficili che si possono fare e pure nel momento in cui partecipo alle competizioni, sia nazionali che europee che internazionali; però sono anche un’artista quando mi trovo a fare esibizioni per un cliente che non ha nulla a che vedere con il freestyle, oppure quando mi trovo in una città turistica come Praga e mi metto a fare uno spettacolo in mezzo alla strada (“busking”, in gergo). Molti freestyler scelgono di schierarsi da una parte o dall’altra e io facevo lo stesso: io ero uno sportivo e guai a chi mi parlava di arte. Dopo un po’ di tempo, però, con l’esperienza, ci si rende conto che è sbagliato fare questa distinzione, perché alla fine se si è freestyler forti si è entrambe le cose. Ci tengo ad aggiungere che tutti possono essere le due cose assieme ma non tutti lo sono; prendiamo come esempio un freestyler che allena solo “lower” e non è minimamente interessato a fare trick da seduto, o con la testa e le spalle: questo freestyler lo considererò più uno sportivo che un artista.

In quale zona del mondo il freestyle sta riscuotendo maggiore successo da parte del pubblico?

In Europa il freestyle è uno sport che sta prendendo piede però nessuno arriva al livello del Messico. Sono stato a Città del Messico nel 2015 e solo lì ci sono 200 freestyler. Dal punto di vista quantitativo quindi sicuramente ci sono, poi magari ci sono altri paesi in cui la qualità supera la quantità (ed è più importante), però ho detto Messico perché veramente è l’unico paese al mondo
in cui il freestyle è diventato sport nazionale. Ogni volta che c’è un torneo, migliaia di persone vanno a vedere lo spettacolo; inoltre la selezione messicana per il mondiale di Praga è davvero tanto conosciuta a livello nazionale e c’è addirittura un programma TV dedicato al freestyle.

Esistono squadre di freestyle?

Da quando il freestyle è nato, oltre a fare freestyle ognuno per conto suo, a un certo punto si è sentita la necessità di formare team e crew per crescere dal punto di vista lavorativo e commerciale. Io faccio parte del FootworkTeam, che è il team campione d’Italia con quasi 10 anni di imbattibilità ormai, vincente ai tornei nazionali dal 2008. Il FootworkTeam è nato intorno al 2007 dalle idee di Domenico Grasso (alias DomyBD, ex freestyler) e Gunther Celli (freestyler italiano con più titoli, ancora in attività) e io ne faccio parte dal 2013, ovvero da quando Gunther mi chiese se volevo farne parte visti i miei miglioramenti e le mie potenzialità. Accettai con molto piacere! Da quest’anno ci siamo messi anche a fare gli Youtuber e sul nostro canale (Footwork Italia) carichiamo sempre i video recap delle esibizioni in giro per l’Italia e per il mondo, oltre ai classici tutorial per imparare a fare freestyle!

C’è uno stato che vanta una grande tradizione di freestyler?

Non c’è uno stato in particolare, a dire il vero, però posso menzionare diversi paesi che sono stati fondamentali nel corso della storia per lo sviluppo del
freestyle come sport e che l’hanno fatto diventare quello che è adesso:

ITALIA: noi italiani ci siamo fatti conoscere anche nel freestyle, il FootworkTeam ha fatto la storia dal 2009 al 2011, in quel periodo non c’era squadra al mondo che si avvicinasse al livello dei Footwork, mentre ora forse c’è qualche team che in termini tecnici può competere con noi. Tuttavia mi sento di dire che, al giorno d’oggi, siamo ancora il team più forte al mondo, tecnicamente parlando.

FRANCIA: Mentre in Italia si spinge sul lato tecnico, in Francia uno dei tratti caratteristici è sempre stata la creatività, l’espressione di sé stessi. Intorno al 2010-2011 sempre più freestyler allenano trick chiamati “blocks”, in cui la palla viene bloccata in diverse parti del corpo (tra i piedi, tra le ginocchia, tra coscia e polpaccio etc.), seguendo anche il ritmo della musica (la musica è fondamentale per tutti, però ancora di più per francesi e giapponesi)

GIAPPONE: Ho parlato di musica, non ho potuto non menzionare il Giappone. Ci sono dei matti in Giappone, e in Asia in generale, che potrebbero scrivere un libro su come muoversi con la palla per andare a ritmo di musica. Detto così sembra facile, però nel momento in cui bisogna fare dei mini-palleggi sul beat e trick a ritmo diventa molto difficile. I giapponesi di sicuro sono sempre stati i migliori in questo, e pure nel mischiare Breakdance e Freestyle per ottenere trick “ibridi”.

BELGIO/OLANDA: Oltre al freestyle in sé, c’è altro che si può fare con la palla. Si possono allenare le groundmoves (per gli amici “dribbling”), ovvero i trick con palla a terra utilizzati nelle partite di futsal e street soccer per muoversi bene e/o saltare l’avversario. Il Belgio e i Paesi Bassi sono i due Paesi che più hanno influenzato l’evoluzione dello street soccer.

RUSSIA: Importantissima dal punto di vista tecnico, in Russia ci sono moltissimi freestyler (probabilmente anche mille), e intorno al 2009-2010 non c’erano altri paesi che potessero competere con la Russia. Troppi freestyler e molto, molto forti per i tempi.

POLONIA: Dopo aver menzionato tutti questi stati, che si sono rivelati importantissimi per la storia del freestyle, è d’obbligo parlare anche della Polonia. Al giorno d’oggi, in Polonia un torneo nazionale dovrebbe valere il triplo di un torneo fatto in Italia. Perché? La risposta è semplice: il livello è altissimo e ci sono almeno 10 freestyler diversi che ogni anno hanno le carte in regola per vincere
(anche un mondiale, volendo). Ma il livello è altissimo perché molti dei freestylers facenti parte della “old school” (ovvero il periodo 2005-2011 circa) sono ancora attivi oggi e sono veramente fortissimi, con moltissima esperienza.

Quanto sono importanti i social media per farsi conoscere e apprezzare?

Dal mio punto di vista direi che sono praticamente tutto. Al giorno d’oggi, in un mondo in cui l’informazione fa da padrone, riuscire a creare un profilo/identità sui social media principali (YouTube e Instagram , Facebook è già secondario ormai) è di vitale importanza. Credo che molte persone, molti freestyler anche, non si rendono conto delle possibilità che Internet ha portato alle nuove generazioni. Prima per far conoscere te stesso o il tuo business dovevi letteralmente farti in otto, mentre adesso, tramite i social media, tutto il mondo può vedere quello che hai da offrire e sta a te creare. Molti freestylers giovani, tuttavia, pensano che gli sia già tutto dovuto, probabilmente perché hanno iniziato a fare freestyle in un periodo in cui i freestyler migliori già erano “famosi” su Instagram e quindi, per una mente giovane e inesperta, il fascino dell’essere “famosi” (che poi aggiungerei famosi per modo di dire, essere famosi secondo me è altro) può avere una grande attrazione. Poi però vai sul loro canale YouTube e hanno zero video. Dicono di essere bravi però… quindi, in definitiva, bisogna dare importanza massima ai social se l’obiettivo è, oltre a migliorare, anche farsi conoscere. Ma non li si deve prendere alla leggera: nel momento in cui si pubblica quotidianamente qualcosa sui miei social, si sta sì facendo qualcosa che ci piace ma, al contempo, si sta anche spingendo sé stessi e il proprio freestyle per farlo vedere a più persone. Se tutto ciò viene gestito seriamente i risultati poi si vedono.

Pensi che questo sport possa diventare il tuo lavoro nei prossimi 10-20 anni?

Sicuramente, per come sono ora nel mondo del freestyle, ho buone prospettive. Sono tra i più forti e completi al mondo, tecnicamente parlando, poi sono davvero molto conosciuto tra i freestyler, essendo considerato unico nel mio genere! Sono consapevole che è difficile crescere, farsi notare, diventare qualcuno e realizzare gli obiettivi che ci si prefissa, però dopo aver lavorato tanto dal punto di vista tecnico ed essere arrivato al top nel giro di sei anni, sono convinto al 200% che, con la dovuta costanza e il duro lavoro, si possono fare anche milioni di euro con il freestyle. E non si tratta più di esibizioni e cose simili, mi riferisco a qualcosa di più grande. Con le conoscenze che ho ora potrei aiutare tutti i freestyler del mondo almeno in qualcosa e, con le mie conoscenze e con le persone giuste, so che potremmo arrivare dove vogliamo. Si tratta di mettersi d’impegno e continuare a lavorare sodo; poi vada come vada, ma saprò di aver dato il 100%. Nessun rimpianto, mai.

Quali sono i tuoi prossimi impegni con il freestyle? Cosa farai, dove andrai?

Prossimamente ho molte attività legate al freestyle e almeno da questo punto di vista il 2017 sembra promettere benissimo. Come prima cosa sarò a Madrid, e precisamente nello stadio dell’Atlético Madrid (Vicente Calderón) per essere il giudice di testa dell’SFFC (torneo nazionale spagnolo); dopodiché, a fine giugno, volerò in Danimarca, a Copenaghen, per rappresentare la nazionale italiana alla European Street Cup 2017 assieme ad altri freestyler. Successivamente a fine luglio ci sarà una competizione in Cina con un numero chiuso di partecipanti ed è probabile che io sia riesca a parteciparvi, però non c’è ancora nulla di confermato e attendo notizie. Ovviamente in mezzo a tutti questi eventi e competizioni ci saranno anche molte esibizioni durante l’estate essendo il periodo lavorativo migliore per noi freestylers! Infine ad agosto ci sarà il classico Open Mondiale di Praga, dove cercherò di fare del mio meglio nelle Battle e spero di riconfermarmi campione mondiale di Challenge per la seconda volta di fila. Non sarà facile per niente, ma so di potercela fare!

Al termine di questa intervista, ci teniamo a mostrarvi di cosa realmente abbiamo parlato finora: cliccate sul link e avrete un assaggio di ciò che Luca Chiarvesio è in grado di fare con un pallone!

https://www.stageyou.tv/portfolio/100-seconds-of-freestyle-football

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

MondoPallone Racconta… La leggenda del Maracanã

Il 2 giugno scorso ha riaperto i battenti uno degli stadi più famosi del mondo, il Maracanã di Rio de Janeiro. Ristrutturato in vista...
error: Content is protected !!