Il vincente e il perdente

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Nell’Europa dell’Est ancora oggi sono presenti enormi palazzoni residenziali, degli eco-mostri di epoca sovietica che dopo la caduta del comunismo ospitano le famiglie meno abbienti. Alexander Ovechkin è nato e cresciuto in uno di questi edifici. La madre era pallavolista, il padre calciatore.
Tatiana Ovechkina non sapeva cosa fosse l’argento: due universiadi, due olimpiadi, un mondiale, sei europei consecutivi. Mikhail Ovechkin, dal quale Alex ha preso la stazza, è finito a fare il taxista a Mosca.
Come vedremo, il figlio ha preso dal padre non la sola fisicità.

In Canada niente palazzoni; a Cole Harbour, Nova Scotia, solo casette monofamiliari e 33000 dollari di stipendio medio annuo. Lì nacque Sidney Crosby, il cui padre era portiere NHL e lo mise sui pattini a 3 anni. A 7 anni, Crosby era già di gran lunga il più forte hockeista del Canada, a 10 segnò 160 gol in 50 partite.
A Cole Harbour, incorporata nell’’insegna colorata della città, c’è scritto “La casa di Sidney Crosby”; poco sotto, ogni volta che la vince, aggiungono un pezzo “Bravo Sidney, aspettiamo che ci porti la Stanley Cup da vedere!”

Alex non indossò i pattini prima dei 7 anni. Nei suoi movimenti c’è rabbia, potenza, generosità. I Washington Capitals lo scelsero alla uno assoluta nel 2004. Da quel momento vince tre volte il titolo di miglior giocatore e sei quello di capocannoniere. Alexander the Great è un giocatore memorabile, a inizio carriera finisce in panca puniti con una frequenza altissima per un attaccante. Con la maturità arriva una posizione sul ghiaccio più avanzata, una eleganza insospettabile, di quei sei titoli di giocatore con più gol segnati quattro arrivano dal 2012 al 2016.

Sidney venne scelto sempre alla uno assoluta dai Pittsburgh Penguins l’anno successivo, 2005. Sulla maglia indossa l’87, suo anno di nascita, probabilmente perché non ha paura di invecchiare essendo sempre stato il più forte, a prescindere dall’età. I paragoni con Wayne Gretzky si sprecano, Crosby danza sul ghiaccio, ha una gestione e un controllo del puck straordinari, senza precedenti. Per due volte vince il titolo di MVP della NHL, ma la sua struttura fisica spesso non gli consente di concludere la stagione: commozioni cerebrali e vari altri infortuni rendono la vita del nativo di Cole Harbour meno gloriosa di quanto si potesse ipotizzare.

Ipotesi, parole, chiacchiere.
Ne ho usate di metafore, luoghi comuni, nozioni tattiche abbozzate. La verità, sul campo, non è mai quella delle chiacchiere. La verità è che ogni 45 secondi passati sul ghiaccio nei Playoff NHL si gira. Ovechkin esce, Crosby esce, entrano altri.
Chi si aspetta che la Stanley Cup vada a chi dei due è più forte rimane puntualmente deluso. Cerca una risposta, analizza le gesta del russo nato nel palazzone e del canadese semi-dio di Cole Harbour, arriva a stabilire che Alex è un perdente e Sidney un vincente.
È abietta pratica di questi giorni: Capitals e Penguins si sono affrontati nei Playoff. Dopo sette emozionanti partite l’hanno spuntata come al solito i secondi, che ora si stanno giocando l’accesso alle finali NHL contro gli Ottawa Senators. Washington rifarà la squadra (scadono tutti i contratti tranne quello di Ovechkin) alla ricerca della prima Stanley della sua storia, Pittsburgh è in corsa per la sua terza, solo nell’era Crosby.

L’hockey non è oligarchia. Non è scontato tutti i grandi giocatori vincano il massimo alloro che questo gioco possa regalare. Lo dobbiamo tenere a mente prima di dividere i fuoriclasse tra vincenti e perdenti.
Dite la verità, avete letto il titolo e vi siete aspettati dicessi chiaramente che Sidney Crosby, l’erede di Gretzy, “the next one”, è un vincente, e che Alexander Ovechkin, sei volte miglior marcatore NHL, tre volte MVP, “Alexander the Great” è un perdente.

Niente di tutto questo, categorizzare vincenti e perdenti è sport per chi di sport capisce veramente poco. Per chi ama più togliere che aggiungere elementi a una storia.
Una storia che deve rimanere quella del bambino post-sovietico dal DNA prorompente, che ha ereditato la forza dalla madre e l’inconcludenza del padre. Quella del prodigio con il numero 87, eccellente quanto ondivago e delicato che risponde con le vittorie a chi compie il delitto di lesa maestà di non porre fiducia in lui.

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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