Maestro

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Antonio Conte è il quarto allenatore italiano a vincere la Premier League.
Nella sua versione moderna, nata dallo scisma del 1992 dalla Football League, il campionato inglese ha visto tantissime volte un tecnico straniero scrivere il suo nome nell’albo d’oro, ma siamo noi italiani ad averlo fatto più spesso.

Merito di ciò va all’indiscusso valore, a livello di scuola tecnica e di esperienza formativa, del nostro calcio. Ma anche, oserei dire, a quello dei singoli allenatori che si sono succeduti nel vincere la Premier League: qualcuno può dire che Roberto Mancini e Carlo Ancelotti si sarebbero dovuti impegnare, per le squadre che avevano e il momento storico delle altre, a non vincere, eppure puoi giocare solo contro l’avversario che ti trovi di fronte. Certamente, i titoli messi in bacheca da Claudio Ranieri prima e Antonio Conte poi colpiscono di più, ma è nel complesso che questa storia piace.
Piace un po’ meno, ma è chi scrive ad avere l’orticaria di fronte a certo sciovinismo, che della ‘scuola italiana’ si parli solo in questi momenti esaltanti e mai in caso di crisi, esoneri e retrocessioni (e ci sarebbe da aprire un capitolo sulle nostre proprietà nel calcio estero, non sempre fortunate), eppure oggi resta un giorno positivo e di ciò si può parlare. Anzi, si deve: Conte aveva ereditato una squadra allo sbando e in crisi d’identità.
L’ha ricompattata, le ha dato volto, gioco, coraggio e inventiva nuovi; facendo una vera messa a punto a una fuoriserie arrugginita e lo scorso anno ombra di sé stessa: svuotato dal secondo ciclo, seppur vincente, di Mourinho, il Chelsea voleva un “maestro” (dicono proprio così, non traducono) e glielo abbiamo dato.

La cosa interessante del lavoro dell’ex ct è che non smette mai di aggiornarsi. Studia, cambia paradigma, impara dai migliori e i peggiori li osserva per capire dove sbagliano; si rimette al passo, si corregge. Soprattutto: è un tutt’uno col pubblico o comunque lo diventa, dopo un po’. Stamford Brige, dopo l’era Vialli-Zola e soprattutto l’avvento di Roman Abramovič, è un pubblico abituato bene (qualcuno dice snob) e dalle corse di Antonio dopo i gol non si sarebbe fatto conquistare senza vittorie e punti in classifica: va bene il carisma ma sì, siamo il Chelsea e nell’era della Premier League in pochi hanno vinto quanto noi.
Sì, allora, Conte ha fatto tutto bene e oggi merita che l’Italia tutta lo celebri. Senza esterofilia ma neanche italocentrismo, ammirando chi per entrare in un altro calcio s’è messo in discussione, ha programmato; ci si è calato trasformando sé stesso e dando anche qualcosa di nuovo al movimento calcistico inglese stesso: dieci, cento, mille Conte.
Complimenti, maestro.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

Addio Pasquale Casillo, viva Zemanlandia!

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