Salvate l’impiccione

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Un paio di settimane fa a Las Vegas si è tenuto un torneo di braccio di ferro tra giocatori NFL, organizzato privatamente dagli stessi. Parte del ricavato è andato in beneficienza, ma nella capitale dell’azzardo è facile ipotizzare che il giro di scommesse fosse delirante. Appena Roger Goodell, commissioner della lega, è stato informato sono partite le multe. Johnathan Cyprien e James Harrison sono i due nomi trapelati, perché hanno attivamente promosso il torneo su Internet.
Lo statuto NFL dice che i suoi tesserati non possano promuovere un evento in qualche modo relazionato alle scommesse, cosa che, a esempio, non può far promuovere a un giocatore NFL siti di scommesse o casinò. Giocasse a football, Cristiano Ronaldo non potrebbe promuovere i siti di poker online, tanto per intenderci.

Negli sport americani, il commissioner è la persona che funge da garante alla regolarità del gioco. I suoi poteri sono quasi illimitati, e la ragione sta nei primi giorni di vita di questa figura.
Nel 1919 i Chicago White Sox – pane al pane – si vendono la World Series di baseball. La reazione della MLB è quella di creare questo personaggio affidandone le veci a Kenesaw Landis, famoso giudice dell’Illinois. Nell’America post guerra mondiale quei giocatori rappresentano il male, il piegarsi al malato mondo delle scommesse mentre Landis il bene, avendo appena smantellato il trust delle compagnie petrolifere e avendo multato niente meno che il signor Rockfeller per 30 milioni di dollari. Questa contrapposizione dà al giudice la leva per chiedere poteri infiniti, accetta infatti solo dopo che viene aggiunta la postilla “proteggere il miglior interesse del gioco”. Capite bene che tale potere è talmente vago che poco si presta a contraddittori.

Altresì, il commissioner deve per forza mantenere una condotta morale integerrima per essere efficace. Perché nello sport a stelle e strisce non si “vendono” i giocatori? Perché nel 1965 il commissioner della MLB capisce che il proprietario di una squadra vuole solo arricchirsi dalla vendita di tre delle sue stelle, e che il team sarebbe colato a picco, agonisticamente parlando, l’anno successivo.
Il potere del commissioner viene spesso sfidato in tribunale, ma il più delle volte il giudice di turno deve piegarsi alla regola del “best interest” e dargli ragione.

Nell’ultimo mese Goodell sta stringendo il cordone al collo delle esultanze dopo il touchdown; già ora non si può festeggiare in gruppo (sembra incredibile, lo riconosciamo) con coreografie studiate. In un mese scarso, quindi, due decisioni impopolari da prendere. Moltiplicate per dodici mesi, moltiplicate per dodici anni – dal 2006 il lavoro di Goodell è stato sempre così.
Avvenimento bizzarro – guarda lo statuto – prendi decisione – digerisci critiche – dichiarazione imbarazzata – altro avvenimento bizzarro.

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Gary Bettman, il commissioner della NHL, è altrettanto odiato. Lo sciopero totale del 2004, in cui non si giocò una sola partita, è stato attribuito al suo operato, alla sua incapacità di mettere d’accordo i giocatori (sovrapagati) e i presidenti (che non ricavavano più nulla dalle partite). L’anno successivo la NHL, sempre per merito di Bettman, adottò il tetto salariale: questa mossa riscattò l’avvocato ebreo di New York agli occhi del pubblico, ma viene comunque sempre fischiato in ogni palazzetto in cui si rechi.

Se i commissioner dovessero solo pensare, però, alla loro reputazione sarebbero felici. La più grossa spada di Damocle sulla loro testa è la “personal conduct policy”, cioè quella serie di regole che disciplina il comportamento dei loro tesserati e che introduce il discorso “morale” accennato poco fa.
La policy è un’arma nelle mani del commissioner, ma questo documento si presta a un’applicazione contorta.
Esempio (vero): un giocatore picchia la ragazza, la scena viene ripresa da una telecamera, ma lei non lo denuncia. La giustizia ordinaria non può fare nulla contro il giocatore – almeno nell’immediato – ma il commissioner sì. Nel codice di condotta c’è scritto che tale giocatore vada sospeso senza paga.
Così il giocatore è a piede libero, ma non può lavorare. Il commissioner è più in alto della legge, in definitiva, una specie di superpoliziotto.

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In NBA non c’è un vero e proprio codice di condotta, e ciò limita il potere del commissioner. Talvolta lo fa in modo grottesco: Latrell Sprewell, nel 1997, tentò di strangolare il suo allenatore, P.J. Carlesimo. Il commissioner lo sospese per un anno, ma dopo il ricorso del giocatore il giudice dichiarò che sospenderlo per un anno solare non fosse nei poteri del commissioner, convertendo la sospensione a tutta la stagione cestistica. Praticamente la stessa cosa.

Nel miglior interesse del suo sport, il commissioner deve agire secondo le sue regole. Che oramai grazie alla personal conduct policy sono molto lontane dal campo. Nel 2017 hanno il fine ultimo di mantenere la credibilità e la reputazione morale delle leghe professionistiche. Nel 1919 avevano il solo sacrosanto scopo di evitare le partite finissero tutte 10-0 o che il risultato si sapesse prima dell’inizio delle stesse.

In poche parole, avviene ciò che è anti-demodratico per eccellenza: una persona sola ha la discrezionalità morale ed etica per comminare delle punizioni potenzialmente enormi. Nel Paese che più di tutti mette la democrazia davanti a qualsiasi cosa, questo ci sembra un controsenso enorme, e costituisce una delle tante contraddizioni che riempiono i luoghi comuni sull’America.
Il riflesso (o rigurgito, chiamatelo come volete) è sempre lo stesso. Limitate il potere dei commissioner, togliete loro il potere morale, levate loro la possibilità di utilizzare la personal conduct policy, date tale potere a un altro organo. Lasciate ai commissioner i cambiamenti sportivi! In questo senso essi hanno fatto solo un gran bene al basket, all’hockey, al football. NFL, NHL e NBA sono popolari ora come forse mai prima, vanno in tutta Europa e Asia a mostrare i loro gioielli, mettono in campo il meglio del meglio, hanno storie di redenzione, piene di valori e spettacolari.

Non lasciate che il Goodell di turno sia, per il solo fatto di essere onnipotente, lo zimbello del Mondo dello sport.
Ridimensionatelo, ve ne sarà grato.

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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