Just wi… Vegas Baby!

-

Quando hai grandi allenatori, grandi giocatori e una grande organizzazione dici loro: “Vincete e basta!”

Non vi è altro aggettivo se non “iconico”. Al Davis, l’autore della famosa dichiarazione soprastante con la quale rispondeva a un cronista dopo la vittoria del Super Bowl da parte dei suoi Raiders, era iconico. Allenatore, dirigente, uomo mercato, proprietario, politico, rappresentava con dovizia di particolare una NFL che, probabilmente, non esiste più.
La NFL in cui si vince e basta, quella del suo “Just Win Baby!”, risalente alla cuspide tra anni ‘70 e ‘80.
Davis si è spento in tarda età nel 2011, dopo un decennio di non felici scelte per la sua squadra, di cui era padre padrone e per la quale aveva l’ultima parola su tutto. È stato sepolto in un mausoleo a 15 minuti dallo stadio, uno di quei classici cimiteri californiani situati in un bel parco pieno di verde. Appoggiate sulla sua tomba di marmo le repliche dei tre Vince Lombardi Trophy vinti.
I suoi Raiders però stanno facendo le valigie ed entro tre anni saranno a Las Vegas, lontani dalla loro icona.

Negli ultimi due anni tre franchigie NFL hanno cambiato sede. I Raiders, i Chargers e i Rams. La ragione principale – abbreviamo perché se ne potrebbe scrivere per mille pagine – è la necessità di costruire un nuovo stadio. Nelle tre città che fino all’anno scorso ospitavano le tre squadre (Oakland, San Diego, Saint Louis) non si è riusciti a convincere la municipalità a partecipare alla costruzione miliardaria di questi gioielli. San Diego ha votato contro e i Chargers, piuttosto che rimanere a Ocean Side, giocheranno in un impianto sottodimensionato – quello dei Los Angeles Galaxy di calcio – in attesa che il proprietario dei Rams costruisca il suo faraonico progetto nella città degli angeli. Gli stessi Los Angeles Rams nel frattempo giocano al Memorial Coliseum, stadio da 90000 posti che riempiono tristemente circa a metà.

La città di Las Vegas tasserà i turisti per permettersi la nuova avveniristica casa dei Raiders. Una buona parte dei soldi verrà dai visitatori della città, che in gran percentuale (soprattutto se europei) non lo sapranno nemmeno. Oakland ha perso, nonostante sia un luogo storico per il football, perché non ha gente disinteressata a cui far pagare lo stadio nuovo.
La tomba di Al Davis è solo uno dei riferimenti alla connessione tra Raiders e la California. Nel tempo, la tifoseria si è formata con una sua vera e propria identità, diciamo “alla europea”. Andare allo stadio in chopper con il chiodo e vestiti di nero-argento è uno dei cliché della tifoseria di Oakland. Le partite a Los Angeles (i Raiders hanno giocato lì per una parte della loro storia) erano il ritrovo dei rapper più duri della West Coast, come raccontato nel fantastico “Straight outta L.A.”, documentario di ESPN del 2010 narrato e diretto da Ice Cube, che inizia così:
“I Raiders hanno cambiato le regole del football, noi abbiamo cambiato quelle dell’hip-hop!”

Cube e Davis sono seduti nella stessa stanza durante il documentario, con l’anziano ed evidentemente malato Al che afferma quanto la parola “Raiders” si possa tradurre con “noi arriviamo al successo facendo quello che vogliamo fare, non seguiamo la massa”. Identità, successo, pochissimi compromessi. Chi vi scrive è stato all’Alameda County Coliseum, casa dei Raiders, poco prima di una loro partita: tutto vero, tutto palpabile. Ai tempi di Los Angeles le cronache raccontano addirittura di frequenti tafferugli allo stadio, impensabili in un contesto americano.
La NFL, e, credeteci, questo è il segreto peggio custodito al Mondo, non ha come espressione finale la vittoria, ma i soldi. Ciò non vuol dire sia una lega sportivamente non affascinante. Tutt’altro: ha trovato il modo di spremere banconote dalla competitività, dai grandi giocatori, dalle vittorie. Ma alla fine qualsiasi decisione è presa con consapevolezza, cioè mantenendo come più alta e imprescindibile la priorità economica.
Oakland, inoltre, non è una città attraente. Si conta il doppio degli omicidi dell’attigua San Francisco, il doppio dei disoccupati con un valore percentuale maggiore della media nazionale (6,5% contro 5%). A una città del genere, sul cui sito internet ufficiale la sicurezza pubblica è messa al primo posto nelle famose priorità, non puoi chiedere di concentrarsi sui Raiders e il loro nuovo stadio. Ai proprietari delle franchigie hanno l’autonomia necessaria per cambiare sede, e Mark (figlio del grande Al) lo ha fatto.

Destinazione Las Vegas.
In alcune sue parti, questo abitato del Nevada non è nemmeno una città vera e propria. Si entra in un vortice sadico di casinò, spettacoli, discoteche, alcool, scommesse, senza la possibilità di uscirne. Nei locali viene pompato ossigeno attraverso l’aria condizionata, i cocktail sono gratuiti se ti siedi al tavolo da gioco, mentre giochi le spogliarelliste ballano sopra la tua testa in completi di pelle nera, i mezzi pubblici hanno l’unico obiettivo di portarti da un albergo all’altro. La notte sostituisce il giorno e viceversa. Hai la sensazione di non avere controllo su quanto, come e dove divertirti, mangiare, dormire.
Come faranno i Raiders a recuperare la loro identità descritta finora in quel posto? Non è possibile. E alla NFL interessa meno di zero. Ci sarà una nuova identità e una nuova fan base. Cosa sostituirà i chopper? E l’hip-hop?

Perfettamente calato nella realtà dell’epoca, quel “Just Win Baby!” esclamato da Al Davis sembra lontano milioni di anni. L’America con disperato bisogno di vincere e imporre la sua identità sopra ogni cosa, anche sopra l’interesse, non esiste più.
Probabilmente Davis l’avrebbe capito, e guardando la baia di Oakland sparire alle sue spalle avrebbe sorriso ed esclamato “Vegas Baby!”, vedendo avvicinarsi le luci della strip, consapevole che opporsi al progresso non ha più molto senso nella terra delle opportunità.

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

MondoPallone Racconta… Bruno Metsu ed il suo Senegal

Nella notte tra lunedì e martedì è scomparso Bruno Metsu, che conobbe fama nel 2002 alla guida del Senegal. Un tuffo nella memoria per...
error: Content is protected !!