Oriundo chi?

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Oriundo: parola usata e abusata, spesso in senso dispregiativo. Quello non è italiano, è un oriundo … L’italiano più forte di sempre a giocare ad aver giocato a rugby e … Argentino. E altri commenti di questo tenore. Tra il serio, il faceto e, diciamolo, una buona dose di imprecisione.

Ricapitoliamo, grazie alla Treccani: agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. oriundus, der. di oriri «nascere»]. – Originario di un determinato luogo, detto in genere di chi, nato e residente in una città o nazione (di cui ha anche acquistato la cittadinanza), discende da genitori o antenati là trasferitisi dal paese d’origine: la sua famiglia è o. di Napoli; negli Stati Uniti vi sono moltissimi o. italiani. In partic., come s. m., e per lo più con uso assol., atleta, spec. giocatore di calcio, di nazionalità straniera, ma di origine italiana, assimilato nella normativa sportiva ai cittadini italiani e perciò ammesso a far parte della squadra nazionale azzurra.

Ho evidenziato la parte che mi interessa, relativa al paese d’origine.
Ce ne dimentichiamo troppo spesso: chi sceglie/opta per giocare per l’Italia e nel nostro paese non c’è nato, rappresenta genitori e nonni. Pezzi di storia familiare, pezzi di cultura di casa: ragionerò su alcune posizione di chi è contro gli oriundi, provando a sfatare qualche luogo comune o, per lo meno, offrire uno spunto di riflessione e un punto di vista in più.

Innanzi tutto, chi sei? Questa è la domanda che ci viene spesso fatta, così come da dove vieni? e così via. Per molti di noi, in genere, è facile rispondere: sono italiano. E magari entrare nel dettaglio: italiano e siciliano, italiano e piemontese etc. Eppure, già con le provenienze regionali, il discorso si inceppa e non si riesce più a essere così rigidi: mia nonna è sarda e mi sento sardo anche io, un po’.
Un po’, dunque: ci si trova a essere – si è – un po’ qualcosa e un po’ qualcos’altro. Generalmente è una cosa positiva: avere origini lontane è come viaggiare, ti apre la mente. Per un punto di vista in più, due espressioni dialettali diversamente colorite per evidenziare un concetto; o un senso di solidarietà quando incontro un altro oriundo calabrese come te: avete qualcosa in più, siete (anche) la stessa cosa.
Le radici familiari sono, insomma, vitali e come tali sono percepite soprattutto a livello interregionale, nel nostro paese. E pazienza se i tuoi nipoti tradiscono l’accento veneto dei loro compagni di classe e non quello genovese dei genitori: sono veneti e genovesi, sono tutte e due le cose.

Così è o dovrebbe essere, a maggior ragione, a livello internazionale.
Non sto qui a riassumere la storia dei movimenti migratori, o i luoghi comuni su pizza spaghetti e mandolino, eppure noi italiani all’estero ci siamo andati. E pure tanto; e pure in massa: nel 2006, quasi 200 mila persone residenti in Australia risultavano nate in Italia. Nel 2011, 900 mila australiani si identificavano, come ‘ancestry’, come italiani. E impressionano ancora di più i dati di altri paesi: le emigrazioni negli Stati Uniti, quelle in Sud America (Americazuela…?); uno sguardo ai cognomi dell’attuale nazionale argentina, del resto, ce lo conferma.
Insomma, tanto ci siamo mossi e tanto, oggi, accogliamo. Il concetto di una vita-una patria, di per sé superato ovunque per i flussi migratori di cui sopra, perde validità e attualità nel nostro caso prima di tutti: abbiamo riempito il mondo portandoci cose belle e cose brutte.
Restando, soprattutto, italiani oltre che inglesi, americani, belgi via discorrendo.
Parlando, ormai quasi quotidianamente, con persone Italo-qualcosa, mi accorgo di tutto ciò; e che l’Italia è anche e soprattutto appartenenza oltre che storia.
Che Ius sanguinisIus soli devono e possono andare di pari passo, sono il mondo di oggi, di cui lo sport è una delle rappresentazioni fisiche e concrete: ecco che gli italiani ‘di ieri’ (Thiago Motta, Éder etc.) si affiancano ai ‘nuovi italiani’ (Ogbonna), nati in Italia da genitori stranieri.

È il mondo che cammina e ce lo dobbiamo non solo tenere, ma tenere stretto: ben vengano gli oriundi (specie se ambientati nel campionato italiano), italiani quanto e come noi, così come i ‘nuovi’ italiani.
Ci si può, ci si deve sentire di appartenere a più patrie se effettivamente si ha una doppia (o tripla) storia familiare.

Altrimenti andatelo a dire ai tanti giovani che ci lasciano in cerca di lavoro.
Dite loro che i loro figli, in fin dei conti, non saranno italiani.
Io il coraggio non ce l’ho.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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