Arancia inceppata

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Dopodomani l’Italia giocherà un’amichevole contro l’Olanda. In altri momenti e in altri contesti, per quanto non si tratti di una sfida ufficiale con tre punti in palio, sarebbe stata una partita da non perdere, uno scontro tra due tra le potenze massime del calcio mondiale nonché la sfida tra due scuole di calcio significativamente diverse nell’interpretazione del gioco. Il 28, invece, avrà luogo un match tra due squadre che stanno vivendo un momento di transizione (quando non proprio di difficoltà), tutto sommato prive della quantità di strabordante talento che le ha contraddistinte lungo l’arco della loro gloriosa storia. E la notizia è che non è l’Italia quella conciata peggio.

Due anni e mezzo fa, immediatamente dopo la fine dei Mondiali brasiliani, sarebbe stato impossibile immaginare un’Italia più avanti dell’Olanda nel suo processo di (faticosa) ricostruzione. Noi uscivamo con le ossa rotte da un girone non proprio impossibile mentre gli Oranje erano invece reduci da un brillante terzo posto finale, ottenuto nonostante la defezione di uno Strootman semplicemente irrinunciabile per gli schemi di van Gaal e un cambio di modulo e di filosofia di gioco arrivato a ridosso della rassegna iridata. Era lecito immaginare che agli Azzurri sarebbe servito tempo per rinascere dalle proprie ceneri quando invece il ricambio generazionale degli eredi di Cruijff pareva avviato e già potenzialmente vincente. Pareva.

Oggi, 26 marzo 2017, i Tulipani hanno appena perso 2-0 in Bulgaria e sono momentaneamente quarti in un girone di qualificazione ai Mondiali che li vede sopravanzati anche da Svezia e, appunto, Bulgaria – oltre alla Francia, che è prima. Tralasciando gli uomini di Deschamps, non si tratta proprio di due potenze di prima freschezza del panorama mondiale, anzi. Il tutto considerando anche che gli olandesi sono reduci da una non qualificazione ai primi Europei della storia a cui era quasi più facile partecipare che risultarne estromessi.

Insomma, la situazione è decisamente tendente al drammatico. La verità è che l’ingaggio di Guus Hiddink per il dopo van Gaal è stata una mossa fallimentare e, allo stesso modo, anche la conferma del tecnico originariamente ad interim Danny Blind non sembra essere stato un colpo di genio. Il talento non mancherebbe nemmeno, in senso assoluto. Chiaramente le individualità non sono ai livelli di dieci o venti anni fa (figuriamoci trenta o quaranta) ma le risorse per superare Svezia e Bulgaria ci sarebbero tutte. Il problema è un’identità di squadra che latita dalla fine dei Mondiali 2014, un gioco spesso e volentieri involuto, noioso e sterile e, infine, il rendimento altalenante già coi club di fin troppi elementi cardine – almeno sulla carta – di questa Nazionale, che non riescono a compiere il salto definitivo da “ottimo giocatore” a “fuoriclasse”.

E poi, ultima ma non per importanza, c’è la questione della sostituzione di Robben in quanto leader tecnico della compagine. Il mancino del Bayern conta ormai 33 primavere e non durerà in eterno nonostante i molti infortuni (paradossalmente) possano avergli allungato la carriera evitandogli un logorio eccessivo ma, allo stesso tempo, il fisico non proprio irreprensibile del Ciclista di Groningen non dà alcuna garanzia di lunga durata. Nessuno dei giocatori attualmente sotto i trent’anni del gruppo ha la classe e il carisma di Robben.

Per farla breve, la KNVB (la federazione arancione) avrà il suo bel daffare nel cercare di capire cosa sarà meglio fare per il futuro, a cominciare dalle storie tese con Danny Blind, che sicuramente lo diventeranno sempre di più. Eufemisticamente, si può ridurre tutta la questione al fatto che quella che una volta era l’Arancia Meccanica oggi è a dir poco inceppata.

Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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