ESCLUSIVA – I nuovi talenti: Alberto Acquadro

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Anche questa settimana prosegue il nostro focus sulla Lega Pro e torniamo a parlare del Girone B. Dopo Ungaro del Santarcangelo, Perilli della Reggiana e Parodi della Feralpisalò, abbiamo raggiunto il centrocampista del Venezia Alberto Acquadro. È un centrocampista classe ’96, che può agire tanto davanti la difesa quanto da interno, con tanta esperienza già alle spalle, avendo partecipato a varie edizioni del Torneo di Viareggio ed essendo stato due stagioni fa tra gli artefici del ritorno del Lagunari tra i professionisti; uno tra quelli più talentuosi e dalla spiccata personalità, dall’immenso acume tattico e dalla straordinaria visione di gioco.

Ciao Alberto, sei piemontese e precisamente di Tollegno; hai iniziato a dare i primi calci a un pallone da bambino nel Valle Cervo. Mi racconti un po’ quell’esperienza in tenera età?

Ho iniziato a giocare a calcio da piccolissimo e i campi del Valle Cervo erano vicinissimi a casa mia, potevo andarci a piedi e lì giocavano i ragazzi del paese. In quella fase, certamente, un ruolo importante l’ha rivestito mio padre perché grande appassionato; anche lui è stato un giocatore, seppure in serie minori, e non si perdeva un mio allenamento, aspettandomi fino alla fine: in pratica, mi seguiva e viveva il calcio insieme a me come se giocasse lui. In generale, la mia famiglia ha una certa tradizione calcistica: mio nonno, per esempio, giocò nelle giovanili della Roma, ma poi dovette prendere un’altra strada per questioni lavorative.

Poi, sei andato alla Biellese. Cosa ricordi con più affetto e quali sentimenti nutri in relazione a quella fase della tua vita personale e calcistica?

Relativamente a quell’epoca, devo ringraziare innanzitutto mister Giovanni Soviero. Grazie a lui sono cresciuto tantissimo e, nonostante fossi ancora piccolo, credeva tantissimo in me e mi dava sempre molti consigli: io giocavo da difensore centrale e fu lui a spostarmi a centrocampo. Poi, da lì in poi ho avuto una grande crescita: ero fisicamente tra i più piccoli dal punto di vista fisico e, quindi, cercavo di curare molto la tecnica per sopperire alla differenza con gli altri. Alla Biellese ho disputato i campionati Giovanissimi Regionali e Allievi Regionali: un anno siamo anche arrivati in finale, ma purtroppo la perdemmo 4-3 e arrivammo secondi; di tanto in tanto segnavo qualche gol, calciavo punizioni e rigori e, nel complesso, è stata una fase importante nel processo di crescita.

Capitolo Borgosesia, sappiamo che un’importanza rilevante l’ha avuta il direttore sportivo Simone Di Battista. Mi dici esattamente come è avvenuto il passaggio?

La Biellese, anziché portarmi in prima squadra, mi propose di giocare nella Juniores e mister Vincenzo Manzo mi volle fortemente in prima squadra al Borgosesia in Serie D. Ovviamente, tra restare negli Juniores e la Serie D non ebbi dubbi, anche perché avevo la totale fiducia sia del tecnico che del direttore sportivo Di Battista che mi ritenevano all’altezza nonostante avessi solo 16 anni. In tutta onestà, avevo il timore che mi lasciassero nella Berretti e, invece, mi fecero andare in ritiro con la prima squadra e decisi di accettare l’offerta. Devo dire che mi impegnai tantissimo in quel frangente e il caso volle che alla prima di campionato si infortunasse il centrocampista titolare e Manzo, anziché mettere in campo qualcuno con più esperienza, decise di buttarmi nella mischia. Giocavamo contro il Chieri al Silvio Piola di Vercelli perché all’epoca il Borgosesia non aveva lo stadio: vincemmo 4-0 e feci due assist. Li ricordo ancora e in uno di questi dovevo aspettare lo scarico da calcio d’angolo e cercare la testa del compagno sul secondo palo. Al Borgosesia stetti solo cinque mesi ed eravamo secondi dietro la Giana Erminio che, poi, salì, in Lega Pro.

Sei stato anche in Sicilia nella Primavera del Palermo, quasi 50 presenze per te e due Tornei di Viareggio. Cosa porti con te di quell’esperienza?

Arrivai a gennaio a campionato in corso, ma nella posizione di centrale di centrocampo c’era Davide Petermann e Bosi decise di schierarmi come mezzala: i primi tempi, però, non giocavo con continuità. In generale, devo dire che l’esperienza in Sicilia è stata bellissima, mi sono trovato benissimo e ci tornerei volentieri. La seconda stagione è stata certamente quella che mi ha regalato più soddisfazioni anche se sono stato fermo un paio di mesi per via di una fastidiosa pubalgia. La partita che mi è rimasta nel cuore è stata quella contro il Napoli: vincemmo 2-1 e con un uomo in meno per 80 minuti. Purtroppo però sbagliai il rigore in Final Eight contro la Fiorentina e fummo eliminati. Per quanto riguarda i Tornei di Viareggio, il primo anno facemmo benissimo: arrivammo in semifinale e perdemmo contro l’Anderlecht ai rigori; mentre il secondo anno un po’ meno (battemmo il Milan di Donnarumma, Calabria e Locatelli) e uscimmo ai quarti contro la Roma. A Palermo si crearono dei bei rapporti e fra tutti voglio ricordare in particolare quelli con i miei compagni di reparto: Luca Fiordilino, oggi a Lecce, e Marco Toscano, che gioca nel Siracusa.

Anche un altro Viareggio con la Rappresentativa di Serie D. Meglio o peggio di quelli disputati col Palermo? E quali sono state le sensazioni provate?

S¡, sono stato selezionato l’anno scorso quando ero già a Venezia; i risultati non sono stati buoni, ma, essendo il più grande di età, ne sono stato il capitano e le responsabilità sono state maggiori rispetto a quelli disputati col Palermo. Certo, quando si crea una squadra dal nulla non è sempre facile amalgamarla: abbiamo fatto qualche raduno, ma molti compagni me li sono trovati al torneo senza averli mai visti prima ed è stato difficile.

Veniamo all’attualità o quasi. A Venezia vinci il campionato di Serie D e sei stato tra gli artefici della splendida cavalcata della scorsa stagione: 31 presenze, 4 gol e anche il premio come miglior giovane eletto dai tifosi. Cosa mi racconti del primo anno con la maglia arancioneroverde?

Tutto inizia con la chiamata del direttore Giorgio Perinetti e la partenza immediata per Venezia: ho trovato una grande professionalità e un’ottima organizzazione e si vedeva da sùbito che fosse una società che voleva crescere e ridiventare grande. Infatti, abbiamo vinto le prime 9 partite di fila, vinto il campionato e siamo stata la la squadra che ha segnato più gol. Una grande soddisfazione è stata certamente quella di segnare il giorno della matematica promozione in occasione del 3-0 sulla Union Ripa La Fenadora. A Venezia mi trovo molto bene; ho legato particolarmente con Guglielmo Vicario, ma devo dire che ho uno splendido rapporto con tutti i compagni: il capitano Soligo è una splendida persona e lo ringrazio per tutti i suggerimenti e per come sa consigliarmi. 

Il processo di crescita continua anche in Lega Pro: 16 presenze, primo posto in classifica e un ragguardevole contributo alla squadra. Quali sono le sensazioni, considerati i tre punti di vantaggio sul Parma, contro la quale avete pareggiato proprio domenica scorsa (2-2) e i quattro sul Pordenone, che deve ancora recuperare una partita?

È un campionato molto difficile: ci siamo noi, Parma, Pordenone e in generale, tante squadre forti. La gara col Parma di domenica scorsa è stata molto complicata: mi sono ritrovato di fronte giocatori con grande esperienza anche in Serie A come, per esempio, Munari, Scozzarella, Scavone. Affrontare giocatori così, che magari guardavo in TV fino a due o tre anni fa, è davvero entusiasmante, ma senza timori reverenziali. 

Mi racconti cosa succede dalla vittoria per 3-0 a Reggio Emilia al parziale di 0-2 contro il Parma?

Contro la Reggiana siamo partiti fortissimo con un baricentro molto alto e con l’immensa qualità che abbiamo in attacco siamo riusciti a segnare sùbito e a chiudere la partita nella ripresa, anche perché loro si erano scoperti alla ricerca del pareggio. Col Parma, secondo me, siamo partiti altrettanto bene, ma gli emiliani hanno qualcosa in più rispetto alla Reggiana (a parte i giocatori citati primi, aggiungo Alessandro Lucarelli e Calaiò). Abbiamo preso due gol in contropiede a causa di nostre disattenzioni evitabilissime. Poi, il mister mi ha sostituito, anche perché ero già ammonito e, in ogni caso, ha giustamente preferito inserire un giocatore più offensivo al posto mio (Marsura) e siamo riusciti a riagguantare il pari.

Che tipo di allenatore è Filippo Inzaghi? Quanto è importante un tecnico che è stato anche un grandissimo campione da calciatore?

Trasmette l’arte della vittoria; lui vuole vincere sempre: dalle partitelle di allenamento, al calcio-tennis.

Qual è stato il gol più bello che hai segnato? Me lo descrivi?

Sono due, entrambi nella scorsa stagione in Serie D; uno contro il Monfalcone: gol vittoria allo scadere, mi sono buttato in scivolata su un cross basso dalla destra e sono riuscito a toccarla quel tanto che bastava per metterla dentro. L’altro, anch’esso gol vittoria, contro il Calvi Noale direttamente su calcio di punizione da posizione leggermente defilata sulla sinistra e conclusione a giro sul secondo palo.

E l’assist?

Sicuramente, il lancio da più di trenta metri a Geijo contro il Südtirol.

In quale abilità ritieni di essere forte e in quale ritieni di dover migliorare?

Mi ritengo dotato di un buon tiro sia col destro che col sinistro. Devo migliorare ed essere più freddo in alcune giocate: a volte mi perdo in giocate difficili quando, invece, dovrei fare qualcosa di più semplice e rimanere più concentrato, senza farmi prendere troppo dall’entusiasmo.

Qual è stata, secondo te, la squadra più difficile da affrontare e chi vi ha messo più in difficoltà?

Anche se abbiamo perso contro Padova, Forlì e Pordenone, rispondo Parma.

E il giocatore che ti ha dato più filo da torcere?

Mattia Vettore del Padova.

A quali giocatori del passato e del presente ti ispiri?

Del calcio di oggi, Nainggolan: è quello che abbina meglio le due fasi. Del passato, Javier Zanetti. 

Sogno nel cassetto: in che squadra vorresti giocare un giorno e perché, come nasce la passione?

Sono interista e mi piacerebbe giocare nell’Inter. In realtà, in famiglia, mio padre è milanista e mio fratello juventino; mio nonno, però, era interista e con lui ho trascorso momenti bellissimi della mia infanzia e mi ha trasmesso l’amore per l’Inter.

Antonio Ioppolo
Antonio Ioppolo
Giornalista, appassionato di storia, letteratura, calcio e mediani: quegli “omini invisibili” che rendono imbattibile una squadra. Il numero 8 come fisolofia di vita: grinta, equilibrio, altruismo e licenza del gol.

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