ESCLUSIVA MP – I nuovi talenti: Giuseppe Ungaro

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Terza tappa del nostro viaggio alla scoperta dei giovani talenti del calcio nostrano che, settimanalmente, si rendono protagonisti sui campi della Lega Pro; dopo aver parlato di Ivan Varone dell’Unicusano Fondi e Federico Zenuni del Tuttocuoio, battezziamo oggi il girone B facendo la conoscenza di Giuseppe Ungaro del Santarcangelo.

Classe ’95, Giuseppe Ungaro è un centrocampista buono per tutta la regione di metà campo: nato come regista, negli anni ha imparato ad occupare con ottimi risultati zone di campo più avanzate, arrivando a giostrare anche sulla trequarti o, come più di frequente capita con la maglia del Santarcangelo, da interno di centrocampo. Dotato di eccellente tecnica individuale e buona visione di gioco, si sta gradualmente ritagliando uno spazio sempre più importante nel Santarcangelo di mister Marcolini.

Ciao Giuseppe, partiamo dall’inizio: nato a Taranto, sei arrivato a Bergamo a 14 anni. Come è nata questa opportunità, e cosa passa per la testa di un 14enne all’idea di doversi allontanare da casa e dalla propria vita di quasi 1.000 chilometri?

Mi sono trasferito a Bergamo a fine estate 2009. All’epoca ho girato tanto facendo numerosi stage, tra cui uno con l’Atalanta; quando si è palesata l’opportunità di salire a Bergamo non mi spaventava tanto l’idea di andar via di casa a 14 anni, quanto quella di dovermi separare dalla mia famiglia, con la quale ho un legame incredibile.  A farmi accettare il trasferimento, nonostante i quasi 1.000 chilometri di distanza da casa, è stato l’amore per il pallone che mi accompagna fin da quando sono nato: la passione innata per il calcio e la voglia di fare questa nuova esperienza sono stati più grandi delle paure, e alla fine l’amore che ho per questo sport e l’aver sempre sentito vicino la mia famiglia mi hanno permesso anche di superare le difficoltà che posso avere avuto nel mio percorso di crescita.

Quale fu il punto di vista dei tuoi genitori, quando si presentò l’opportunità di trasferirti a Bergamo?

I miei genitori mi hanno sempre lasciato la libertà di sfruttare tutte le occasioni che mi fossi riuscito a guadagnare sul campo e, anzi, mi hanno sempre incoraggiato a farlo a patto che a quell’età non lasciassi perdere gli studi in favore del calcio. Per loro, a 14 anni, la priorità doveva essere infatti la scuola; ho quindi completato il percorso di studi presso un istituto tecnico-commerciale senza mai essere bocciato, con una votazione finale di 82/100. Di questo risultato sono contento e orgoglioso; oltre al mio impegno, devo questo risultato alla vicinanza costante dei miei genitori, che devo ringraziare molto, anche perché, nonostante a Bergamo stessi vivendo un’esperienza bellissima, si trattava pur sempre di un settore giovanile, e non di una realtà professionistica.

A Bergamo hai potuto vivere la realtà della “Casa del giovane”, il convitto atalantino che ospita i ragazzi delle giovanili. Come è stata la tua esperienza di vita alla Casa del Giovane? C’è una persona in particolare che ti è stata vicino in quel periodo, tra i 14 e i 18 anni?

La scelta di trasferirmi a Bergamo fu anche figlia della fama del settore giovanile atalantino, per cui fui anche onorato della possibilità che mi fu concessa. Il programma educativo dell’Atalanta colpì moltissimo i miei genitori: avevamo tre educatori e una psicologa che ci seguivano, oltre che negli studi, anche nelle problematiche della vita quotidiana. Con gli educatori e con la psicologa ho avuto sempre un ottimo rapporto, e a uno in particolare devo molto: si chiama Andrea Baggi, con il quale sono ancora in contatto, perché è stato la persona che mi è stata più vicina durante il periodo trascorso a Bergamo: mi ha aiutato moltissimo. Anche su alcuni compagni delle giovanili posso fare ancora affidamento; avendoci vissuto praticamente 24 ore al giorno, con loro si è venuta a creare una piccola famiglia.

La prima esperienza da calciatore professionista è al Real Vicenza, dove anche a causa di un infortunio non hai avuto tantissimo spazio. Molto meglio a Mantova, la scorsa stagione, dove hai trovato anche il tuo primo gol da “pro” contro il Pavia, ironia della sorte contro Michele Marcolini, tuo ex-allenatore a Vicenza e tuo attuale tecnico: vuoi raccontarci l’emozione di quella rete?

Difficile descriverlo a parole, è stata una sensazione bellissima anche per il momento in cui è arrivato: a Pavia stavamo perdendo 2-1, era una partita molto combattuta e riuscire a pareggiare i conti dopo che già stavamo disputando una grande gara è stata un’emozione molto forte. Sul momento non realizzi, anche perché devi rimanere concentrato sulla partita; dopo la partita ho parlato con i miei genitori ed erano praticamente più contenti di me, anche perché dopo tanti sacrifici ottenere certi risultati è molto bello. Spiace che sia capitato al mio ex-allenatore (sorride, N.d.R.).

Arriviamo a Santarcangelo, terza tappa della tua giovane carriera. Che ambiente hai trovato? Ha influito sulla tua scelta la consapevolezza di ritrovare (dopo Vicenza) mister Marcolini?

Partendo dalla seconda domanda, la risposta è sicuramente sì. Oltre al fatto di ritrovare mister Marcolini, prima di trasferirmi al Santarcangelo avevo sentito qualche ex-compagno passato da qui che mi ha parlato benissimo di questa piazza. Personalmente, non posso che confermare le belle cose che mi sono state dette: Santarcangelo è una società piccola, ma con tanta voglia di lavorare bene facendo calcio come si deve. L’ambiente è bellissimo, onestamente non credo potrei chiedere di meglio; in squadra e con il mister si è creato un bellissimo rapporto, e questo ci aiuta moltissimo in campo perché lottiamo e ci aiutiamo a vicenda fino all’ultimo minuto. A partire dal Presidente fino ad arrivare ai magazzinieri, l’ambiente è veramente positivo, e come ho già detto non avrei potuto chiedere di meglio.

Hai legato in particolare con qualcuno tra i tuoi compagni?.

Ho un bellissimo rapporto con tutti, e di questo credo possiamo andare  fieri, dal momento che spesso in uno spogliatoio non è facile riuscire sempre a rimanere coesi, sono dinamiche normali all’interno di un gruppo. Quest’anno però c’è un clima veramente bellissimo, si lavora con serietà ma riusciamo anche a divertirci, e questo secondo me ci aiuta a rimanere così compatti.

Parlando di te, hai iniziato come regista ma hai occupato anche zone di campo più avanzate, con Marcolini che oggi ti utilizza prevalentemente come interno di centrocampo. Qual è il ruolo che senti più tuo? Hai un modello di riferimento?

Ho interpreato vari ruoli dal centrocampo in su, ho giocato da mediano, da mezzala, da trequartista e anche da esterno da centrocampo; stare in campo per me è la cosa più importante, per cui sono a disposizione del mister e della esigenze della squadra. Calcisticamente parlando sono innamorato di Steven Gerrard sin da quando sono bambino, la passione in realtà è nata tramite mio cugino; inizialmente giocavo come centrocampista centrale o come mediano, e Gerrard  mi è sempre piaciuto perché era un giocatore completo tecnicamente e tatticamente, oltre che un leader carismatico. L’ho sempre visto come un esempio sia come calciatore e capitano, che come uomo.

Dopo 11 partite siete a ridosso della zona play-off: quali sono gli obiettivi per quest’anno, a livello di squadra e quali i tuoi obiettivi personali?

Come squadra il nostro obiettivo è la salvezza, che cercheremo di raggiungere il prima possibile; una volta salvi potremmo magari puntare più in alto, ma i 40-45 punti necessari per salvarci debbono essere il nostro obiettivo e dobbiamo continuare a lavorare come stiamo facendo adesso per perseguirlo. A livello personale, spero di trovare sempre più continuità, mettendo minuti nelle gambe e sfruttando le opportunità che si presenteranno.

In questo primo scorcio di stagione avete ottenuto grandi risultati contro compagini accreditate come Parma, Pordenone e Reggiana fermate sul pareggio, ma non siete riusciti a vincere contro avversari sulla carta più abbordabili come Teramo e Forlì (due pareggi, N.d.R); cosa pensi sia mancato nelle due partite citate, e in cosa pensi dobbiate migliorare?

A migliorare si può sempre migliorare, ma credo che nelle due gare che hai nominato l’approccio da parte nostra sia stato quello giusto, purtroppo poi gli episodi possono influenzare il corso di una partita: domenica scorsa ad esempio (1-1 in rimonta in casa del Forlì, N.d.R.) una punizione deviata è entrata in porta mettendoci la partita in salita. Credo comunque che lavorando come stiamo lavorando potremo far bene in Campionato: dobbiamo essere consapevoli delle nostre potenzialità, con rispetto di tutti gli avversari ma senza paura di nessuno, perché se giochiamo come sappiamo, possiamo creare problemi a qualsiasi squadra.

Domenica prossima una partita molto importante, contro il Venezia di Filippo Inzaghi secondo in classifica: è la classica partita che non ha bisogno di stimoli particolari.

Sicuramente, sarà una grande partita. Li abbiamo già incontrati in Coppa Italia, stiamo lavorando per arrivare carichi alla partita di domenica.

In questo Girone B, chi vedi come favorita? C’è qualche squadra che ti ha colpito in particolare?

Credo che le favorite alla promozione possano essere quelle indicate dai pronostici di inizio Campionato, non vedo una specifica squadra favorita anche perché la Lega Pro è una categoria molto più difficile di quanto non possa sembrare. Mi ha impressionato molto il Bassano, forse anche per il risultato conseguito contro di noi (Bassano-Santarcangelo 4-0, N.d.R.); anche se in quella gara non siamo mai usciti dalla partita, creando diverse occasioni,  loro mi sono piaciuti molto per qualità di gioco e intensità. Come il Bassano, anche Parma, Venezia e Reggiana hanno molte virtù.

Tornando alla Primavera dell’Atalanta di cui hai fatto parte, e della quale molti giocatori militano in questo Campionato di Lega Pro, sei in contatto con qualcuno? In particolare, ti volevo chiedere un pensiero su Caldara e Grassi, che sono già riusciti a compiere il grande salto arrivando in Serie A.

A Mattia (Caldara, N.d.R.) ho mandato un messaggio quando ha segnato contro il Pescara settimana scorsa, mi ha fatto molto piacere anche perché, come Grassi, Gagliardini e Conti, si merita tutte le gioie che sta ottenendo. Sento spesso anche gli altri ex-compagni di Primavera, da Cavagna che gioca a Bassano, a Forgács ad Ancona, o Varano della Pistoiese; con buona parte dei miei ex-compagni sono rimasto in contatto, ci confrontiamo sulle esperienze che stiamo vivendo e, essendo cresciuti insieme, è bello ritrovarsi anche se da avversari.

In chiusura, tifi per qualche squadra? Sei in prestito dall’Atalanta, dove ti vedi nel futuro a breve e in quale squadra, invece, ti piacerebbe giocare?

Credo si debba ragionare un passo alla volta. Nel breve periodo devo sicuramente lavorare per migliorarmi caratterialmente, tatticamente e tecnicamente per poter aiutare il Santarcangelo; questo è sicuramente l’obiettivo nel breve periodo, poi a fine anno si tireranno le somme e vedremo quali prospettive si presenteranno. In questo momento penso a fare del mio meglio qui a Santarcangelo, ma tornare a Bergamo e potermi ritagliare uno spazio con la maglia dell’Atalanta mi piacerebbe tantissimo, anche perché a Bergamo ho passato cinque anni fantastici della mia vita. Parlando di tifo, sono juventino sin da piccolo per colpa di una “malattia di famiglia”, giocare in un centrocampo con Marchisio e Pjanić non sarebbe affatto male (sorride, N.d.R). Essendo tarantino, seguo molto anche il Taranto, la squadra della mia città, mentre dato il mio amore per Gerrard mi hanno sempre affascinato moltissimo anche il Liverpool e l’Anfield Road.

 

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

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