Miopia e programmazione

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Ne abbiamo parlato di recente e oggi ci torniamo su: la Football Association non eccelle nell’arte di scegliere i commissari tecnici.

Se, almeno sulla carta, l’ingaggio di allenatori come Sven-Göran Eriksson, Steve McClaren e Fabio Capello – insisto sulla carta – ebbe una sua logica, le ultime assunzioni lasciano il tempo che trovano, almeno se si pensa a parole come lungo termine, programmazione e progetto.

Parole che dovrebbero essere, diciamolo, il pane di una federazione come quella inglese. La più ricca del mondo, così a naso; la più bizzarra, anche, vista la cronica mancanza di titoli portati a casa dalla sua nazionale, nonostante una First Division prima e una Premier League poi capaci di dominare a tratti il calcio continentale di club, oltre che di dettare l’agenda a livello politico-ecomomico.

Sicuramente, visto anche il numero di giorno in giorno maggiore di stranieri impiegati in campionato, e gli spazi ridotti a disposizione dei calciatori inglesi, il manico andrebbe scelto bene.

Roy Hodgson ha avuto tre grandi tornei estivi per dimostrare di essere qualcosa di più che una brava persona, ed è stato tatticamente incoerente, carismaticamente nullo, incapace di trascinare i suoi ragazzi quando idee e gambe non giravano più. Ora è stato scelto Sam Allardyce e sì, la sensazione è che neanche questo sia il nome giusto: vediamo perché e per come.

Certo, Big Sam sa il fatto suo.

Non neghiamolo: tante annate in Premier League, salvezze e piazzamenti ottenuti, con spesso delle belle rivincite nei confronti di pubblico e stampa, colpevoli di desiderare un calcio meno vecchio e più bello esteticamente. È la faccia tosta e ruvida della medio-bassa classifica del campionato inglese: pragmatismo, fisicità, ritmi alti e crosso per la prima punta.

Sarà contento Andy Carroll, per esempio, se fisicamente integro: è il puntello ideale per un allenatore così. Meno felici potrebbero rivelarsi i tanti giocatori di creatività e fantasia che recentemente si sono affacciati alla scena internazionale con la maglie dei Three Lions: non si sa se e dove Allardyce li metterà, se saprà farne qualcosa.

C’è chi dice che, non potendo lavorare in settimana su schemi e tattiche, uno come Sam sia l’ideale per questa Inghilterra. Portarla a casa anche sfangando gli 1-0 e i 2-1 di cuore e polmoni; ma vien da chiedersi come mai gli altri selezionatori riescano a dare un volto tattico alle loro nazionali, presentando piani tattici ben più robusti di quelli di Hodgson nell’ultimo quadriennio, o di quelli nelle corde – potenzialmente – di Allardyce. O perché uno della vecchia scuola sia stato preferito ai tanti Howe che hanno brillato in questi anni.

Per non parlare dei diversi e interessanti tecnici stranieri accostati alla panchina di Wembley nelle ultime settimane. Non ultimo Jürgen Klinsmann, che al football delle grandi manifestazioni estive è già abituato e ha vissuto sulla sua pelle – tra Germania e Stati Uniti- tanta di quella pressione che ora cadrà sulle spalle dell’ex tecnico di Blackburn e West Ham.

Scelto, forse, solo in quanto inglese perché inglese doveva essere ed è ciò che ci lascia perplessi: la FA più ricca al mondo ostaggio di un anacronismo.

E di un tecnico scelto solo in virtù del passaporto, davanti a tutte le alternative del mondo: buon lavoro Allardyce e scusaci il pessimismo.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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