Scusa, ma torno con la ex

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È sera tarda quando Karl-Heinz Rummenigge rincasa da lavoro. Entra, luci spente, Tv accesa. La notizia che scorre è quella di Götze al Borussia. Sorride. Poi pensa. Attimi di paura. Inizia a guardarsi intorno. Corre di sopra, la camera da letto aperta, gli armadi vuoti, vestiti per terra. Scende di nuovo, gira in cucina e trova un foglietto attaccato al frigorifero: “Mi spiace ma torno dalla ex, forse qui non mi sono mai trovato troppo bene”.

Non credo sia andata realmente cosi ma è divertente immaginarlo. Mariolino torna dalla sua ex squadra, il Borussia, abbandonata appena tre anni fa. All’epoca era stato il pioniere, nella storia recente, dell’attraversata dalla Ruhr alla Baviera spianando la strada a Lewandoski prima e a Hummels poi. Si guardò pure la finale tra Bayern e Dortmund in tribuna per infortunio, indeciso tra chi tifare. I compagni di sempre o la nuova fiamma?

Vedendo la scelta fatta oggi da Götze è facile pensare che al cuor non si comanda, nemmeno quando si parla di lavoro. O soldi, scegliete voi. Eppure all’epoca, con un Mondiale in meno sulle spalle, il trasferimento sembrava l’unica mossa giusta per poter esplodere definitivamente sul panorama internazionale. Ma qualcosa non funzionò.

E non per i numeri: presenze, gol e assist non sono mai mancati a Mario. Non è arrivato il salto di qualità definitivo, quello che ti trasforma da talento in fenomeno, quello che fa sembrare il gol in finale al Maracanã di Rio una cosa normale. Guardiola non è riuscito a rendere un trequartista così eclettico come il punto di riferimento della massima potenza calcistica tedesca. Vuoi per stile di gioco, vuoi per scelte tattiche, il Götze del Borussia non si è più visto.

Come mai? Le risposte sono molteplici ma, la più lampante, è il numero sulla maglia. Il numero che porti sulle spalle, spesso, può spiegare chi sei soprattutto a te stesso. Se con le Wespen era la dieci, un motivo c’era. Era l’ago della bilancia, l’uomo della provvidenza. Tutti i palloni passavano da lui e i compagni gli riconoscevano la leadership assoluta in campo, quella tecnica. Mario stesso si sentiva al centro dell’attenzione: in partita, in società e con i tifosi. Una specie di uomo franchigia per usare un termine da NBA.

Col Bayern Monaco è stato tutto diverso. Lì era un Götze, non IL Götze. Aveva la diciannove, giocava con Müller, Ribéry, Robben, Alaba e tanti altri grandissimi campioni del suo livello, se non addirittura al di sopra. Per questo si è fatto un po’ più piccino, si è adagiato su quello che di buono ha costruito in sei anni di carriera. comunque vincendo tutto, ricordiamo.

L’esperienza in Baviera lo ha  arricchito ma torna ugualmente al Borussia nello stesso modo in cui se ne era andato: da traditore. Sarà proprio questa la sfida più grande per lui. Ritornare il cuore del Dormund, dimostrando solo con la palla tra i piedi di essere più forte di prima. Ci riuscirà? Fortunatamente, Reus e la dieci l’hanno aspettato. Ben tornato Mario.

Eugenio Cignatta
Eugenio Cignatta
Pavese d'origine, pragmatico di natura."Burrito" in campo e fuori, vive alla giornata scrivendo di futebol e basket. Nella vita in tackle come Montero, ma pur sempre romantico come un tiro sulla sirena.

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