È un po’ come vendere l’anima al diavolo: eterna bellezza, ma prezzo da pagare altissimo, quello della libertà. E allora ecco lo scenario: una sera di inizio inverno, all’imbrunire, gli ingegneri Andrea Binotti e Simone Resta creano la nuova power unit Ferrari, riducendo gli ingombri per liberare spazio, migliorandone la combustione e l’aspirazione per avere più potenza, e per finire danno un ritocchino niente male anche al turbo.
Quello che non sanno però è che la stanno mettendo nelle mani del diavolo. L’anima della SF16-H viene teletrasportata agli inferi, bellissima, finalmente competitiva, ma non più così tanto libera di cavalcare strisce d’asfalto, ruggendo. In Australia ne fa le spese Kimi: la rossa comincia a sputare fuoco, segnale a dir poco emblematico del turbo andato K.O. per colpa di un surriscaldamento. In Bahrain è il turno di Seb: questa volta il diavolo si porta via la Ferrari ancor prima di farne vibrare il cofano motore a pochi metri dai 5 semafori.
Due problemi di affidabilità tutt’altro che superficiali, due ritiri inevitabili: è questo il bilancio desolante dell’inizio di stagione tinto di rosso. La monoposto c’è, eccome: in Australia solo la strategia ha portato via a Vettel 25 motivi per festeggiare con lo champagne dal gradino più alto, in Bahrain Räikkönen ha chiuso davanti ad Hamilton e ad una manciata di secondi dall’altra freccia d’argento, quella telecomandata sui binari da Rosberg, che finalmente si gode il suo momento.
La SF16-H, insomma, ha tutte le carte in regola per lottare contro chi, negli ultimi 2 anni, ha fatto un altro sport, disputando una competizione più simile alla Dakar, da soli nel deserto, che alla Formula 1. Il dominio Mercedes ha portato la Ferrari a rivoluzionare il proprio pacchetto, e in particolar modo la power unit. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma il prezzo da pagare è stato fin qui altissimo, un risultato, con ogni probabilità, frutto di una sera di inizio inverno, all’imbrunire.