La volta di Ibra

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Da quando sono arrivati i soldi qatarioti il Paris Saint-Germain di romantico non ha più nulla. Soldi a destra e sinistra, investiti specialmente in Italia – ma non solo, hanno consentito ai parigini di diventare i dominatori incontrastati del loro campionato nazionale e una formazione da mettere per forza sulla cartina europea in Champions League. L’unico barlume di cuore rimasto a questo club multimiliardario e ormai mastodontico è quello girovago di Zlatan Ibrahimović.

Ibra, abbandonata l’Italia dopo il suo secondo anno di Milan (nonché il primo in cui non abbia festeggiato il titolo nazionale dal 2004 a oggi – anche se due gli sono stati revocati come tutti ricordano), è atterrato in una compagine che, nonostante stesse facendo pesanti investimenti nel parco giocatori da prima del suo arrivo, non riusciva a vincere il campionato francese. Zlatan (con il non trascurabile contributo di Ancelotti e non solo) ha invertito clamorosamente la tendenza, trasformando il PSG in una corazzata inaffondabile oltralpe e contribuendo alla crescita della società in ambito europeo. Però, nonostante tutto, neanche col Paris Ibrahimović ha vinto la Champions.

Ora lo svedesone è il centro di gravità permanente del PSG e anche ieri sera ha griffato a modo suo la vittoria nell’andata degli ottavi contro il Chelsea; certo, a Londra sarà tutto meno che una partita facile ma è altrettanto ovvio che al fischio d’inizio della gara di Stamford Bridge saranno gli uomini di Blanc ad avere il vantaggio del punteggio. Un 2-1 che tiene aperto ogni scenario ma, al contempo, consente ai transalpini di poter giocare con un ulteriore alleato nel cronometro, dettaglio non da poco. E, come ripeteva spesso uno che Ibra l’ha anche allenato, la Champions è la competizione dei dettagli.

Chiunque sa, inoltre, che questo è, al 99,9999999%, pure l’ultimo giro di valzer di Zlatan all’ombra della Tour Eiffel, particolare che rende intrigante lo scenario onirico che vedrebbe il numero 10 svedese sollevare quella coppa. Per di più a San Siro, uno stadio dov’è stato molto amato per cinque anni e da entrambe le squadre che lo abitano regolarmente. Anche perché, dopo la sua Svezia, è forse proprio il Meazza il posto che Ibrahimović può chiamare con più disinvoltura casa, considerando la sua storia.

Sarebbe una chiusura del cerchio estremamente romantica: Ibra vince la sua prima Champions da giocatore ormai più che maturo, con quello che – a conti fatti – può essere definito “il club della sua vita” (ammesso e non concesso che esista una società che può fregiarsi di questo titolo ma intanto i fatti ci dicono che in nessun’altra squadra è rimasto così a lungo), nello stadio che più spesso l’ha applaudito e nel Paese dove, dal ragazzotto con un potenziale devastante che era, è diventato il campione Ibrahimović, quello famoso in tutto il mondo e temuto dagli avversari. L’Italia, dal canto suo, è probabilmente la terra che l’ha amato di più, vuoi per una sua certa trasversalità nel vestirne le maglie più prestigiose, vuoi perché lui ha mostrato di ricambiare volentieri l’affetto tricolore: essere lo scenario del trionfo che lo consegnerebbe definitivamente alla Storia sarebbe più che appropriato, in fin dei conti.

Non è tanto la vittoria sul Chelsea di ieri sera che lascia presagire quanto questo possa essere l’anno del Paris Saint-Germain, sono piuttosto il cammino dei francesi lungo tutto l’arco della competizione fin qui e l’estrema serenità con cui stanno conducendo la Ligue 1 a far pensare che quest’anno sia un po’ diverso: il PSG sembra essere una squadra più matura, più pronta, più adatta a prendersi il palcoscenico che va cercando ormai da anni. E poi c’è Ibra, che non sbaglia un colpo nemmeno in questa stagione.

Nessuno sa cosa farà al termine di quest’anno, nessuno sa dove andrà, nessuno sa cosa si inventerà. Tutti sanno, però, che questi sono i suoi ultimi quattro mesi in una squadra che, blasone a parte, ha tutto per competere fino in fondo in Coppa dei Campioni. E i compagni sono tutti con lui. Thiago Silva l’ha anche già detto: «È il suo ultimo periodo al club e vorrebbe lasciarlo regalandogli la Champions. Io farò tutto quello che posso affinché questo succeda».

E se questa benedetta Champions League la vincesse finalmente Zlatan?

Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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