Tifosi a chi?

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“Ho un concetto dei tifosi del Genoa molto più alto che di Leopizzi o Cobra o Traverso. Credo che la gradinata sia una cosa migliore. Quando ho visto questi, mi sono venuti in mente Criscito o le magliette di Sculli. Spesso questi vengono identificati con i tifosi del Genoa, io li identifico in altro modo, non con queste persone con cui ho avuto problemi. Quindi mi defilo e mi dispiace che a queste persone sia data visibilità. Io quando il Genoa perde sto molto male, invece quando il Genoa perde c’è gente che diventa protagonista e sta molto bene, acquisisce spazio su giornali e tv. Ho un concetto completamente diverso dei tifosi del Genoa e anche un rispetto del tutto diverso”.

Ripartiamo da qui. Dalle dichiarazioni di Gian Piero Gasperini, un allenatore di Serie A che parla forte e chiaro contro una stregua di persone che seguono la propria squadra del cuore tutte le domeniche allo stadio. Ogni settimana a incitare i propri beniamini, spingendoli oltre le loro capacità per aiutarli a conquistare una vittoria, a volte anche solo un pareggio. Ragazzi che investono tempo e denaro per seguire i colori a cui si sono legati in giovane età. Sì ma non è sempre così.

Non sempre si parla di individui che cantano per gli undici in campo per novanta minuti. Spesso, molto spesso, all’interno delle curve troviamo personaggi più che persone, che si nascondono dietro a una passione per sfogare pressioni personali, magari accumulate durante la settimana. Le dichiarazioni di Gian Piero Gasperini hanno fatto più rumore del solito solo perché sono stati nominati tre soggetti che secondo il mister si sentono protagonisti nei momenti di difficoltà del Genoa. Ma, in realtà, non c’è niente di nuovo.

Gli ultras in Italia contano, eccome. Tra i boss delle tifoserie e i vertici societari delle diverse squadre ci sono contatti, accordi, strette di mano e prese di posizione più o meno organizzate. A volte, i presidenti sfruttano l’onda d’urto che possono provocare tali soggetti, soprattutto sotto il punto di vista mediatico, per modificare piani e scelte societarie altrimenti ostiche da far digerire al resto dei sostenitori. Tornano utili, e soprattutto pagano. Pagano per essere allo stadio. Pagano abbonamenti. Pagano tutto il merchandising immaginabile.

Sono una risorsa fondamentale di una società e vengono trattati coi guanti. Specialmente quando esagerano. Proprio così. Ogni volta che incappiamo in un episodio sgradevole creato da tifosi estremisti tutta la macchina si ferma, guarda, s’indegna, dialoga e, puntualmente, riparte. Ah pardon, talvolta usa un pugno duro: chiude la curva, la tana del male, l’origine del peccato. Ma la tribuna rimane aperta, ci mancherebbe, lì i biglietti costano il doppio.

Il problema si presenta nel momento in cui viene a mancare il rispetto dei ruoli. Che un tifoso critichi le mosse dirigenziali attraverso striscioni o cori, ci sta. Che un tifoso si diriga al campo di allenamento della squadra per riempire di insulti chi gioca o chi allena, no. Se il normale limite tra chi lavora in un mondo e chi ne gioisce di riflesso salta, significa che non siamo abbastanza civili e civilizzati per poter assistere a un passatempo. Perché questo è, un passatempo.

Inoltre, spesso chi paga il conto di queste tensioni sono i calciatori. È il colmo. Professionisti profumatamente pagati che, perché tali, vengono messi alla gogna e ideologicamente massacrati ogni domenica perché incapaci di rendere sufficientemente secondo l’imprescindibile giudizio dell’appassionato. Sì, ma il tifoso è denaro. Ed è l’unica cosa che conta.

Inutile discutere dell’Olimpico in protesta o dello striscione contro la famiglia Della Valle. Scene già viste, già commentate e già (non) risolte. Evidenziamo invece la tifoseria dell’Hellas Verona, che nonostante non abbia ancora visto vincere la propria compagine non ha ancora smesso di colorare il Bentegodi una sola domenica. Quei tifosi si sono guadagnati una pagina intera sulla Gazzetta dello Sport. Senza dubbio, sono questi gli esempi da seguire: manifesti e manuali di un vero Tifoso sportivo.

Eugenio Cignatta
Eugenio Cignatta
Pavese d'origine, pragmatico di natura."Burrito" in campo e fuori, vive alla giornata scrivendo di futebol e basket. Nella vita in tackle come Montero, ma pur sempre romantico come un tiro sulla sirena.

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