C’era una volta il Pallone d’Oro

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C’erano una volta due premi: il Pallone d’Oro, nato nel 1956, premiava il migliore giocatore europeo dell’anno (oriundi inclusi: nelle prime sei edizioni, anche due trionfi di Di Stéfano e uno di Sivori), poi dal 1995 si passa al miglior giocatore d’Europa (sottile differenza, che apre ai trionfi di Weah, Ronaldo e così via); e poi il FIFA World Player, nato nel 1991 con l’intenzione di premiare il miglior giocatore al mondo.

Nei rispettivi albi d’oro, figurano fior di nomi e qualche semicarneade. Per il Pallone d’Oro, Luisito Suárez (1960), Yashin (1963, unico portiere), Rivera (1969), Cruyff (1971, 1973, 1974), ma anche Josef Masopust (1962), che ha colto soltanto un terzo posto agli Europei del 1960 e un argento ai Mondiali del 1962. Per il FIFA World Player, dalle prime edizioni citiamo van Basten (1992) e Romário (1994). Spesso e volentieri, peraltro, i due premi hanno avuto lo stesso vincitore (Baggio 1993, Weah 1995, Ronaldo 1997, …) – ma questo, di per sé, significa poco.

Il FIFA World Player è stato un premio un po’ discusso e discutibile: il voto era esteso a troppe persone (non sempre qualificate a sufficienza: ne riparliamo tra poco), le nomination non sempre erano trasparenti, e soprattutto il vincitore usciva sempre soltanto dalla Serie A o dalla Liga, con la sola eccezione di Cristiano Ronaldo nel 2008 (quando era al Manchester United). C’è poco da fare: troppo maggiore il prestigio del Ballon d’Or, con la sua giuria ristretta, fatta da giornalisti indipendenti (l’Italia era rappresentata da Roberto Beccantini, più Marco Zunino per San Marino).

Poi, un (poco) bel giorno, arrivò Blatter – vi si è accesa una lampadina in testa? bravi – che pensò bene di unire il Pallone d’Oro al premio della sua istituzione, creando il Pallone d’Oro FIFA: un’opera di ingegneria genetica tesa a unire il prestigio di un trofeo al sistema di votazione dell’altro. Senza capire che forse un problema era proprio qui. Oggi, per ognuna delle 209 nazioni affiliate alla FIFA, votano il capitano e il CT di ciascuna nazionale, più (come vestigia del vecchio Ballon) un giornalista. Totale: 627 votanti (oltre 12 volte quelli di prima).

Alla fine, quindi, i voti di Antonio Conte (CT), Gianluigi Buffon (capitano) e Paolo Condò (giornalista) valgono esattamente quanto quelli dei parigrado di Andorra, del Nepal, o delle Isole Cayman che sicuramente Blatter ha avuto modo di apprezzare. E sicuramente sono anche voti altrettanto ponderati, provenienti da personalità che hanno dato tantissimo al mondo del calcio mondiale (il CT delle Cayman è il cubano Alexander González, il capitano dell’ultima partita della nazionale dovrebbe essere il 27enne Abijah Rivers, sul giornalista mi chiedete troppo).

Pensiamoci bene: nel 2010, l’anno del Triplete, Sneijder è arrivato solo quarto; o nel 2012, da campione del mondo e bicampione europeo, Iniesta è arrivato soltanto terzo; o ancora, un anno fa, il mondiale dominato dalla Germania è stato “premiato” con il terzo posto di Neuer (nel 1982, Paolo Rossi; nel 1984, Platini; nel 1990, Lothar Matthäus; e così via, fino a Cannavaro 2006). Ci siamo capiti.

L’unica speranza per rompere l’egemonia è un giocatore di quasi-primo-piano (un Neymar, un Suárez) che azzecchi la stagione da record (di gol e di vittorie, anche in nazionale) e sparigli le carte. Più che speranza, suona come una illusione: per esempio, nel 2011 l’Uruguay ha pescato la matta in Copa América, eliminando anche l’Argentina di Messi; che però ha regolarmente intascato il premio, prendendo quasi la metà dei voti (Suárez sesto, con l’1.48%).

Come si sia riusciti a sgonfiare un pallone d’oro, beh, resta ancora un mistero. Meglio: è tutto molto chiaro, nella sua inutile perseveranza, visto che non contano più le vittorie, ma conta solo il nome. Allora non ha più niente a che vedere col vecchio Pallone d’Oro. Adesso è solo un premio che, nel firmamento calcistico, è capace di vedere soltanto due stelle: cinque Messi e due CR7. Allora chiamatelo in un altro modo. Per esempio, FIFA World Player.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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