Crisi Russia, di chi è la colpa?

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Sono passati oramai sette lunghi anni dal 21 Giugno 2008, quando la Russia, al termine di una prestazione sontuosa, sconfisse l’Olanda e si regalò il bronzo europeo, oltre che la consacrazione continentale. Un movimento troppo spesso trascurato, restìo a sua volta ad aprirsi verso ovest, si era finalmente imposto anche al di fuori dei propri confini, con la nazionale brava a cavalcare l’onda del successo in coppa Uefa di qualche settimana prima da parte dello Zenit. C’erano tutti i presupposti per fare il salto di qualità definitivo e mettersi alla stregua di campionati superiori che guidano il ranking europeo, eppure…..

Dopo sette anni, un periodo non esagerato ma capace di consegnare risposte più o meno positive sulla bontà delle scelte prese, la Russia e il suo movimento calcistico hanno definitivamente perso quel treno, sciupando un’occasione importante. Le cause sono molteplici, varie e da analizzare sotto diversi aspetti. La conclusione, però, non cambia: quella chance è stata gettata alle ortiche e non è detto che, quantomeno nel breve tempo, ne arrivino altre, nonostante il mondiale casalingo potrebbe (o meglio, alla luce dei fatti, avrebbe potuto) dare manforte a tutto il movimento.

La sconfitta con l’Austria non è di certo la causa scatenatrice di un discorso che ha appunto radici più ampie; anzi, tale risultato è una normale conseguenza di un processo di regressione lento ma inesorabile, nel quale i colpevoli sono molteplici. Provate a confrontare il gioco espresso dalla Russia in quell’estate magica e quello delle ultime uscite. Certo, i protagonisti sono diversi, il ricambio generazionale non ha regalato al momento calciatori di un determinato livello, ma davvero la Russia al momento attuale non è in grado di battere in casa la Moldavia, di vincere una partita al Mondiale con Belgio, Corea del Sud e Algeria e, soprattutto, di mettere assieme qualche azione offensiva degna di nota nell’arco di 90 minuti?

E’ questo il quesito principale, perché non ci si può nascondere dicendo frasi del tipo: “La nazionale russa è mediocre, scarsa” o “Il campionato russo è lento e poco allenante, i calciatori devono fare esperienza all’estero”. E’ una visione superficialistica e per giunta errata. Analizziamo quindi uno per uno i fattori e gli uomini colpevoli di questa situazione.

Fabio Capello è uno dei responsabili. Con alcune convocazioni ci ha visto poco chiaro (soltanto in Russia un calciatore che non ha mai debuttato tra i professionisti può giocare una sfida ufficiale con la propria nazionale) e ha minato la solidità del gruppo (vedi Smolov). In secondo luogo la scelta di sospendere per tre settimane il campionato a ottobre (e costringere quindi a giocare a dicembre) per poi pareggiare in casa con la Moldavia senza uno sprazzo di gioco ha fatto infuriare tutti gli addetti ai lavori, che lo hanno accusato di mal gestire il rapporto tra nazionale e RPL. Sul piano tattico, invece, è possibile accusarlo di esagerato difensivismo. Mai (o raramente) due punte in campo, con Kerzhakov spesso inserito soltanto a gol subito, anche in partite nelle quali era obbligatorio vincere. Dzyuba silurato al mondiale, Kokorin sempre titolare nonostante una media realizzativa imbarazzante e confusione nella gestione di alcune risorse utili o presunte tali: queste sono le maggiori colpe appellabili a un allenatore che ha comunque dalla sua alcuni alibi, che corrispondono alle altre cause della crisi del calcio russo.

Molte scelte gestionali e organizzative hanno infatti influito in tutto questo. Tralasciando follie come la proposta di far giocare la nazionale nella Russian Premier League la stagione precedente al Mondiale 2018, il vero problema è uno: il limite sugli stranieri. Nato per provocare reazioni positive, si è rivelato dannosissimo per tutto il movimento. E la nazionale russa di queste annate è l’emblema di quanto poco di buono abbia portato questa norma, indipendentemente dal livello intrinseco di questa generazione, comunque migliorabile se si fosse data la giusta importanza alla crescita delle infrastrutture e delle squadre riserve.

La Russia è un congiunto di giocatori, e mi riferisco ai più giovani, ai quali poco interessa il campo e che vivono in un mondo al di fuori della realtà, come testimoniano le ultime parole di Oleg Shatov, che indicava nel calciatore il lavoro più duro del mondo. Con il limite le conseguenze negative che hanno prodotto questa situazione sono principalmente due: l’eliminazione della concorrenza, elemento principe per la stimolazione e la crescita di un uomo, prima che di un atleta, e l’adagiamento dei giovani russi, comunque sicuri di ricevere contratti con i maggiori club russi, costretti ad averli in rosa e quindi anche a pagarli più del dovuto. Un circolo vizioso che ha messo nei guai il calcio russo. Senza andare nell’analisi personale dei giocatori, siamo sicuri che senza il limite sugli stranieri lo Zenit avrebbe preso Dzyuba (al termine di un’asta dove il giocatore ex Spartak pretendeva di guadagnare quanto Hulk, pur non avendo al momento dimostrato nulla rispetto al brasiliano), il Krasnodar Smolov e lo Spartak stia provando ad acquistare (il comunque discreto, sia chiaro) Oleg Ivanov dal Terek? E di operazioni simili ne possiamo trovare a bizzeffe nelle ultime stagioni, con un sistema, anche a livello di club, ingessato e poco incline a progredire, fermo nelle sue acque stagnose.

Davvero a Kokorin, in una situazione del genere, sicuro del posto da titolare alla Dinamo e in nazionale, con uno stipendio esagerato, dovrebbe interessare qualcosa della sua carriera? Sarebbe ipocrita affermarlo, e la colpa non è nemmeno sua, perché chiunque, al suo posto, si comporterebbe allo stesso modo. E’ facile e magari un po’ demagogo dirlo, ma è il sistema che bisogna cambiare. La Russia è strana, controversa, ed è per questo che ci piace, ma qui ci troviamo di fronte a un bivio: vogliamo davvero raggiungere i vertici del calcio mondiale, come (secondo me) ancora fattibile, o vogliamo sprecare l’ennesima occasione? Spettacoli come quelli di ieri sera, ormai sempre più frequenti, non sono solo prestazioni oscene, sono veri colpi al cuore per chi ha sempre supportato e creduto in questo movimento. E lo farà sempre, nonostante tutto.

 

 

Michael Braga
Michael Braga
Grande appassionato di calcio russo, tifoso dello Zenit San Pietroburgo. Estimatore del calcio giocato nei luoghi meno nobili e più nascosti, preferirebbe vedere un Torpedo-Alaniya rispetto a uno Juventus-Milan.

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