Applausi a chi c’è

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L’importante è poter dire esserci stati, già andare avanti è un lusso, siam contenti così. Quante volte lo abbiamo sentito? Eppure, ci ho creduto poco: vinci quando sei davvero ambizioso, non quando ti crei in anticipo delle attenuanti, da tirar fuori in caso di sconfitta. La cosa bella del cammino di questa Juventus in Champions League è che degli avversari ha avuto rispetto, mai timore; né ha mai pensato – diversamente, a pensar male, del passato – di aver vinto per il solo fatto di chiamarsi Juve, per il solo nome.

Nome rispettato in tutta Europa, ora finalmente temuto. Nome forse scritto troppo poco nell’albo d’oro della Champions League, se si paragona a quello della Coppa UEFA, o delle competizioni nazionali: sfortuna, caso, fiato corto sul più bello, e tutte quelle cose di cui è bello parlare (e scrivere) a bocce ferme, anni dopo, in sede storica. La Juventus è in finale di Champions League, la Juventus ha (sinora) emulato le recenti gesta di Borussia Dortmund e Atlético Madrid, scavandosi una via per entrare nel circolo dei migliori, spendendo molti meno soldi dei galattici di turno.

La sensazione è che, pur essendo quelli di Klopp e Simeone dei progetti audaci e interessantissimi (vista anche l’abitudine a confrontarsi anno dopo anno contro squadre imbattibili o quasi, in patria), questa Juventus sia un passo avanti. Se non altro sul piano dell’esperienza, maturata dominando in Italia: l’assenza di altre italiane nella fase a eliminazione diretta di Champions League non depone a favore di questa tesi, però è vincendo scudetti che ti fai la pellaccia, quando festeggi e pensi subito alla prossima scalata, alla prossima impresa. Né è da sottovalutare il blocco azzurro, pur privo di Chiellini: gente che ha vinto la Coppa del Mondo, gente che ha portato a casa un argento europeo (di cui si parla sempre troppo poco), gente forse anche col dente avvelenato dopo il disastro brasiliano della scorsa estate.

In tutto questo i bianconeri in finale ci sono arrivati giocando bene a calcio, mettendo a nudo i difetti di un Real Madrid battuto tatticamente oltre che sul piano dell’intensità: Allegri ha capito quando insistere e quando togliere il piede dall’acceleratore, ha gestito i ritmi. Una delle incognite per stasera è proprio qua: è possibile fare altrettanto contro il Barcellona?

Questo per parlare della Juve con vista Triplete, in una delle annate più grandi della sua storia. Ma alla tripletta puntano anche gli altri, quelli con la maglia blaugrana: ci sono più abituati, ma poco tempo fa in tanti (troppi?) li avevano dati per morti, e sarebbe una Champions da sbattere in faccia ai detrattori. A Bonucci e compagni manca l’abitudine a confrontarsi con calciatori del profilo di Messi, Suàrez o Neymar, e troppo spesso sottovalutiamo la compattezza data da Luis Enrique. Che ha trasformato il Barça, finalmente capace non solo di archiviare il ricordo di Guardiola, ma pure di umiliarlo in semifinale: altro che con questi giocatori son bravo anch’io, l’ex tecnico della Roma ci ha messo del suo e ha restaurato una casa che aveva delle crepe evidenti.

Valori alla mano, il Barcellona è superiore alla Juventus. Che però ha dalla sua, rispetto agli ultimi due “miracoli” della Champions League (Borussia e Atlético), l’abitudine a vincere, anno dopo anno, tra i confini natii. Certo servirebbe che altri club del nostro campionato seguissero il modello di chi è riuscito, dalle ceneri del post-Calciopoli, a modernizzarsi strutturalmente, forgiarsi di nuovo, entrare finalmente nel ventunesimo secolo: ma stasera poco importa, applausi a chi c’è.

Che siate tifosi, gufi, neutrali o semplici curiosi: buona finale di Champions League, la coppa più bella che c’è.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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