Attaccanti che non segnano mai

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Goalġóul› s. ingl. [propr. «limite, traguardo», voce di etimo ignoto] (pl. goalsġóul›), usato in ital. al masch. (anche adattato in gòl). – Nel gioco del calcio, il punto conseguito da una squadra quando la palla entra nella porta avversaria (con parola italiana, rete).
dal Dizionario Treccani

Il gol è il sale del calcio, è l’evento decisivo che modifica il punteggio, è ciò che garantisce la vittoria. Nel pallone tutto ruota attorno al gol. Dopo quella generale, la classifica che più interessa agli appassionati, più genera dibattito e studio è logicamente quella dei marcatori, dove i grandi cannonieri del campionato si danno battaglia per arrivare a al traguardo personale più prestigioso in assoluto. Chi figura nelle posizioni più alte della graduatoria è, per antonomasia, un giocatore che segna molto spesso; i migliori sono quelli che fanno sempre gol. La stessa parola “cannoniere” richiama il termine militare originario, metaforicamente adattato al calcio, che sta a indicare chi si occupa di caricare e sparare con il cannone: un atto che di per sé ci si immagina ripetitivo e costante, non certo episodico.

A concorrere per il titolo di miglior realizzatore di un campionato sono di solito gli attaccanti, i giocatori che hanno il compito di infilare il pallone in rete con una certa regolarità, i calciatori che più “sentono la porta” e più sono bravi a trovarla, finalizzando le azioni costruite dal resto della squadra. Da sempre la categoria a cui i fantacalcisti riservano la parte più grande delle loro risorse creditizie, emotive e mentali, le punte generano anche la maggiore mole di discussioni tra tifosi e addetti ai lavori e di norma sono gli esponenti della rosa che più facilmente vengono eletti a idoli dagli aficionados. D’altra parte è logico: chi rimane più impresso nella mente dello spettatore se non il tizio grande e grosso che sta in mezzo all’area avversaria tutta la partita e, alla fine, la butta dentro? Forse è proprio a un grande bomber o a un centrocampista offensivo particolarmente prolifico che noi dobbiamo la nostra passione per il rettangolo verde.

C’è però anche un altro lato della medaglia, un cortocircuito paradossale e irresistibile, un’anomalia tanto necessaria quanto affascinante: gli Attaccanti Che Non Segnano Mai™. Perché non va negato, a modo loro anche le punte spuntate recitano un ruolo fondamentale. Foss’anche per il solo gusto di dire ogni benedetta domenica che “X si sblocca” sapendo che al 99% non succede (ma se per congiunzione astrale millenaria succede potremo pur sempre dire che lo sapevamo già da prima, nonché dare del miscredente a chi non ci ha ascoltato gonfiando il petto come una fregata nella stagione dell’amore). E poi come si fa a dirsi insensibili di fronte al dramma di questi poveri lavoratori costretti settimanalmente a compiere il loro dovere senza mai la gioia della gratifica, senza mai riuscire veramente a fare quel che dovrebbero? Senza parlare del fatto che possono persino perdere il posto per “scarso rendimento sotto porta” in caso continuino a non fare gol e ben sappiamo, di questi tempi, quanto sia complicato rimediare un impiego alternativo. Oltre al danno, quindi, la beffa, esemplificativa della vita crudele che conduce un Attaccante Che Non Segna Mai™.

L’incapacità personale, il peso corporeo ormai paragonabile a quello di un cucciolo di balena, lo scarso minutaggio, la poca autostima, dei compagni incapaci di assist decenti, la sfiga, una sessualità troppo esuberante, delle porte forse troppo piccole, l’incapacità di riprendersi psicologicamente da un infortunio o da un brutto periodo, finanche le maledizioni vudù e chi più ne ha più ne metta: sono queste le cause più frequenti che portano  i nostri paradossali eroi che infestano le aree di rigore di tutto il mondo. E la nostra Serie A non fa eccezione, anzi; anche da noi esiste un discreto campionario di queste figure mitologiche e calcisticamente frustranti, anche da noi le loro prolungatissime astinenze stanno contribuendo a creare leggende che, nonostante tutto, custodiremo gelosamente nel nostro cuore e non dimenticheremo mai.

In particolare, il ritorno al gol di domenica scorsa ha rinverdito il mito nordafricano di Ishak Belfodil, che ha rotto un digiuno di reti che resisteva da settecento giorni esatti. Ventitré mesi di prestazioni insufficienti, pali clamorosi, deviazioni sbilenche a due passi dalla porta e un’astinenza degna di Keith Richards nei più felici periodi di disintossicazione. Certo, le poche chance avute nei sei mesi di Inter e il giocare nel Livorno retrocesso dello scorso anno o nell’attuale, derelitto Parma non lo hanno aiutato ma il buon Belfogol è ormai quasi proverbialmente considerato l’archetipo dell’attaccante di presunte belle speranze che segna come un terzino. D’altra parte i nove gol complessivi in 89 partite di Serie A sono un bottino degno più di Lichtsteiner che di Tévez.

Se l’attaccante algerino del Parma è però ancora giovane, ha il grosso dei suoi anni da professionista davanti a sé e, con essi, la residua speranza di poter un giorno invertire la tendenza, lo stesso non si può dire di Rolando Bianchi, una vita da bomber di provincia, che ormai il meglio lo ha già dato. I numeri degli ultimi due anni di Serie A, inoltre, suggeriscono che il meglio sia anche passato da un bel po’: solo tre reti negli ultimi due campionati e nessuna in questa stagione. Quest’anno Bianchi ha anche giocato poco, trovandosi chiuso dai vari Denis, Boakye e, da ultimo, Pinilla ma l’anno scorso il Bologna ha creduto molto nell’ex capitano del Torino, preso per sostituire Gilardino e giocare titolare. E infatti il club felsineo è puntualmente retrocesso anche perché s’è ritrovato con un reparto avanzato estremamente sterile (d’altra parte era guidato da un Attaccante Che Non Segna Mai™). Per il numero 9 nerazzurro siamo comunque a ben 456 giorni di digiuno, 65 settimane di zero nella casellina delle reti segnate: un rendimento in zona gol arido come l’estate del Sahara.

Altro emblema archetipico della categoria è senz’altro Riccardo Meggiorini, attualmente al ChievoVerona e con un passato tra Torino, Bari, Bologna e Novara. Per MeggioGol si contano sette gol negli ultimi tre anni e mezzo di Serie A a fronte di 103 presenze; tanto per avere un’idea, Ranocchia – che non è un difensore celebre per il suo senso del gol – ha realizzato appena una rete in meno nello stesso lasso di tempo. Quest’anno il numero 69 gialloblù ha già fatto registrare ben tre reti: la prima, che risale al 28 settembre scorso, ha posto fine a un anno e mezzo di astinenza dal gol (sul quale pesa come un macigno la stagione scorsa, passata senza mai segnare nonostante 34 presenze). Certo, Meggiorini segna pochissimo ma quando lo fa spesso realizza qualcosa di memorabile, come la rovesciata con cui ha punito il Cagliari qualche mese fa; chissà, magari è un tentativo di compensare la rarità dei suoi exploit con un’alta valenza estetica. Forse però gli andrebbe anche ricordato che nel calcio, quando si parla di gol, conta più la quantità che non la qualità…

Una menzione speciale la merita senz’altro anche Paulo Barreto, attualmente in forza al Torino e protetto di Ventura fin dai tempi del Bari, squadra nella quale ha fatto vedere il meglio del suo repertorio. Come tanti altri Attaccanti Che Non Segnano Mai™, anche il brasiliano può vantare una ricca collezione di scusanti più o meno efficaci per il rendimento oltraggioso degli ultimi anni; si va dai sempreverdi problemi fisici alle scelte tecniche penalizzanti passando per la squalifica per la questione calcio-scommesse. Tuttavia le cifre di Barreto sono da film horror: dall’estate del 2010 a oggi, il numero 10 granata (la maglia che fu di Valentino Mazzola!) ha segnato ben sette gol. In cinque anni. Da prima punta. Proprio oggi cade l’anniversario della sua ultima rete, siglata esattamente due anni fa alla Fiorentina in uno scoppiettante 4-3. Da allora più nulla e appena quindici apparizioni, di cui solo cinque da titolare. Desaparecido.

Come non citare poi l’intero parco attaccanti della Roma? Con le sole eccezioni di Ljajić e Totti, tutti gli altri avanti giallorossi hanno sfoggiato un senso del gol pari a quello di Morgan De Sanctis. “Ma è un portiere!”. Appunto. Senza dubbio complice anche il notevolissimo regresso nella qualità del gioco collettivo rispetto alla scorsa stagione, Gervinho, Iturbe e i colpi di gennaio Doumbia e Ibarbo hanno finora messo a segno tre gol in quattro che, al netto di problemi fisici, Coppa d’Africa e basso minutaggio, resta comunque una cifra scandalosamente insufficiente. L’ivoriano fa la parte del leone (si fa per dire) con due reti, mentre è l’argentino ex Verona a completare il quadro grazie alla marcatura realizzata contro la Juventus. Tre miseri gol per il reparto avanzato di quella che doveva essere la principale contendente per lo scudetto della Vecchia Signora, la quale, peraltro, ne ha segnati sette – più del doppio se la matematica non è un’opinione – solo coi difensori. Gervinho si riscatta parzialmente grazie ai gol firmati nelle coppe ma il bilancio di campionato di tutto il reparto è semplicemente imbarazzante.

Può sembrare ingeneroso, ma talvolta la nomea di Attaccante Che Non Segna Mai™ si attacca in maniera invincibile anche a giocatori plurititolati o dal passato tutt’altro che ignominioso. Del resto al tifoso interessa relativamente il palmarès di un giocatore al momento del suo arrivo in squadra; il tifoso vuole solo vedere il nuovo attaccante gonfiare a ripetizione la rete. Se questo non accade, il neo acquisto può anche essere campione di tutto in carica e detentore del Pallone d’Oro ma se non segna è condannato a diventare presto o tardi un Attaccante Che Non Segna Mai™ nonostante la sua storia dica il contrario.

È questo il caso di Lukas Podolski: arrivato all’Inter dall’Arsenal per riscattare la sua stagione desolante a livello personale e per aiutare la squadra di Mancini a rialzare la testa in Serie A, non ha mai esultato sotto il sole italiano e ha fallito la missione sotto entrambi i punti di vista. Se già l’anno scorso era stato impiegato meno da Wenger ma aveva comunque fatto registrare otto marcature, in questa stagione Prinz Poldi ha battuto ogni suo precedente record negativo: 18 presenze tra Premier League e Serie A e un bellissimo zero sotto la voce dei gol segnati, un risultato non esattamente rispondente alle aspettative dei tecnici né dei tifosi. Un’annata da cestinare quasi in toto per il campione del mondo tedesco, che ha comunque pensato di dedicare il suo ultimo scampolo di carriera milanese ad altre attività alternative al calcio.

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Una foto pubblicata da Lukas Podolski (@poldi_official) in data:

Ma non solo la Milano nerazzurra può vantare il suo Attaccante Che Non Segna Mai™: anche nel Milan, infatti, milita un centravanti dal brillante passato ma da un ben più incerto presente. Giampaolo Pazzini, infatti, sembra aver completamente perso il suo guizzo assassino in area di rigore, come attestano i soli tre gol realizzati negli ultimi due anni. Vero è che il Pazzo ha avuto parecchi problemi fisici l’anno scorso ed è ai margini della gestione Inzaghi in questa stagione ma tre reti in 37 apparizioni sono numeri da fame nel mondo e non da bomber implacabile quale invece è stato il numero 11 rossonero. A parziale discolpa di Pazzini va però sottolineato che con il non gioco sonnolento dell’attuale tecnico del Milan, un centravanti puro come lui farebbe comunque fatica a segnare persino giocando tutte le partite per 90′.

Peraltro non solo nelle grandi tradizionali si annidano gli Attaccanti Dal Grande Passato Ma Che Non Segnano Più™: nell’Hellas Verona di quest’anno c’è infatti Javier Saviola, ex bimbo prodigio del calcio argentino che forse non ha mai del tutto mantenuto le aspettative altissime di inizio carriera ma che ha comunque avuto un ottimo percorso e ha segnato più di 200 gol da professionista. Complici anche i pochi minuti concessigli da Mandorlini in Serie A – nonostante dovesse giocarsi il posto a fianco all’inamovibile Toni con Juanito Gómez, Christodoulopoulos, Jacopo Sala, Janković o Fernandinho, non proprio concorrenti impossibili – il Conejo ha segnato una sola, miserrima rete fin qui. Ci si aspettava molto di più dall’ex Barcellona, che non segnava così poco dal 2008/2009 (era al Real Madrid e non giocava davvero mai); su di lui hanno avuto ragione i tifosi dell’Hellas che, guardando alla forma avuta in stagione dal loro capitano, non si sono mai posti domande sul perché Saviola marcisse in panchina.

Infine arriviamo al numero 9 che probabilmente è in questo momento storico l’imperatore degli Attaccanti Che Non Segnano Mai™: Samuele Longo. Come il nuovo Benzema Belfodil, anche Longo è un classe 1992 con gran parte della carriera davanti, perlomeno da un punto di vista anagrafico; il problema è che sussiste – ed è fondato – il timore che il centravanti del Cagliari abbia già toccato le vette più alte possibili dei suoi anni da calciatore nel settore giovanile. Il motivo è presto detto: Longo non ha mai segnato in Serie A. Mai. Basterebbe questo a garantirgli un posto d’eccezione nella leggenda delle punte spuntate. Certo, ha passato metà degli ultimi tre anni in prestito nella Liga spagnola, dove ha sostanzialmente preso parte più a una variante calcistica del progetto Erasmus che non a giocare – e non sempre per colpa sua – ma i numeri sono impietosi. Escludendo le coppe nazionali, nei suoi tre anni da professionista il buon Samuele ha segnato tre gol ed è a secco dal 17 novembre 2012, ovvero 946 giorni. Due anni, sette mesi, sei giorni.
Quest’anno doveva essere quello del suo grande riscatto: prestito biennale al Cagliari e cura Zeman all’orizzonte. E invece Samu si è superato (in negativo): 22 apparizioni e zero reti nonostante i minuti giocati siano quasi mille, potesse giocare in un contesto di squadra votato principalmente alla fase offensiva e con una concorrenza relativamente bassa. Se a tutto ciò aggiungiamo anche che l’unico gol rossoblù che porta in qualche modo la sua firma è stato ufficialmente classificato come autorete di Carrizo perché il pallone ha prima centrato il palo e poi la schiena del secondo portiere dell’Inter (e a lui è stato forse attribuito come assist), abbiamo un’idea di come il Fato pallonaro l’abbia probabilmente già bollato come Attaccante Che Non Segna Mai™ a prescindere dagli sforzi del giovane attaccante. Nei giorni scorsi è arrivata anche la ciliegina sulla torta della contestazione dei tifosi sardi a causa di qualche uscita di troppo in discoteca e il conseguente screzio con un giornalista de La Gazzetta dello Sport.  

La dura vita dell’Attaccante Che Non Segna Mai™ è sempre la stessa: non importa essere all’inizio o alla fine della propria carriera, non importa giocare in un club di prima fascia o meno, non importa che numero di maglia si porta sulle spalle. Il punto è che se si è un attaccante e non la si butta mai dentro, si è già parte della leggenda oscura e paradossale più affascinante del mondo del calcio. Forse meno ricca di paillettes e lustrini rispetto ai Messi e ai Ronaldo, forse meno multimilionaria o lussuosa e più ancorata alla provincia, forse meno utile per il Fantacalcio ma non importa.

Perché niente ci diverte e ci divertirà mai come ricordare quella volta in cui abbiamo visto fare gol un Attaccante Che Non Segna Mai™. Magari dopo che, per anni interi, l’avevamo predetto.

* = tranne dove diversamente specificato, i dati riportati si riferiscono unicamente al campionato.
Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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