Archiviata la pausa per le nazionali, torna il campionato. Anzi, i campionati: c’è di che divertirsi con tutto il calcio europeo, sia laddove l’esito è ancora incerto, sia alle latitudini interessanti più per la corsa ai piazzamenti Champions che per la lotta al titolo. Nonostante ciò, le partite di qualificazione a Euro 2016 e soprattutto dalle amichevoli (di lusso o no) obbligano a un’ulteriore riflessione, con una modesta proposta per rendere più funzionale l’organizzazione della federazione e del calendario.
L’eccesso di sperimentalismo esercitato dai commissari tecnici in questi anni ha in qualche modo svilito il valore della presenza in nazionale, o comunque tolto “peso” e prestigio al cosiddetto “cap”, ancora sacro in altri sport. Intendiamoci: il sogno di ogni calciatore – di qualsiasi paese – è sempre quello di rappresentare il suo paese, ma i commissari tecnici sono costretti a oliare i meccanismi, trovare le tattiche giuste, e cercare il bandolo della matassa piuttosto che improvvisare e poi pagarne i conti in estate.
Insomma: per dare all’Italia quel gioco e quella compattezza che normalmente vediamo nel calcio di club – e che in fondo è la chiave dei successi di Spagna e Germania negli ultimi tornei – occorre provare e riprovare, cambiare tattica e tornare indietro, mischiare gli ingredienti e vedere cosa ne esce.
Se si andrà sempre più in questa direzione (e ci sarà bisogno di “insegnare” a questo o quel calciatore una posizione magari mai occupata nel club), lo stesso avviene a livello di convocazioni. Nonostante il calcio diventi sempre più un linguaggio universale e la legge Bosman, rimangono ampie differenze di stili di gioco tra un campionato e l’altro, e non tutti sono pronti a un avversario diverso da quello di ogni sabato e di domenica. Fuori dal giro di chi solitamente gioca le coppe europee, c’è tutto un mare di elementi che mai realmente hanno avuto a che fare con squadre straniere, e con un approccio e una mentalità diverse da quelli della Serie A.
Ad abituare a un calcio diverso e dare un certo tipo di esperienza dovrebbero pensare le selezioni giovanili, soprattutto l’Under 21, ma il problema è che tolte le sfide alle big d’Europa – composte effettivamente di giocatori di massima serie, specie a fine ciclo – il livello scende parecchio, e diventano test probanti fino a un certo punto; spesso poi ci si dimentica che l’Under serve a preparare alla nazionale maggiore e ci si focalizza soltanto nell’obiettivo del trofeo, o della qualificazione olimpica. Nulla di male, ma ci sarebbe dell’altro: occorre una vera palestra, un contesto in cui realmente dare a chi non gioca le coppe europee (o vi partecipa con un ruolo marginale) chilometraggio internazionale, e promuovere soltanto chi è realmente pronto.
Non è un attacco a chi ha giocato a Torino, ma una semplice constatazione generale: urge creare qualcosa di intermedio, o rilanciarlo. Serve un ponte che congiunga l’Under 21/Olimpica alle partite più importanti, anche per ridare credibilità alla prima convocazione. Ripristinare le vecchie Nazionali B, senza limiti di età, è un’idea: sfidando le “riserve” (o gli emergenti, come dicono nel rugby) di altri movimenti d’élite, o avversari di medio livello, i Delph o i Vázquez usufruirebbero di un passaggio intermedio prima del grande salto, assaggiando a piccoli passi il peso della maglia.
Naturalmente, servirebbe uniformità tattica e di approccio alla partita tre le varie selezioni (della serie: dalle Under alla B alla A, tutti seguono lo stesso schema di base) e questo funzionerebbe molto più dei tanto contestati stage. Il passaggio per la nazionale sperimentale dei vari calciatori di origine italiana (chiamati a dimostrarsi sinceramente coinvolti anche lontano dalle luci della ribalta) nati all’estero ridurrebbe le polemiche, e sarebbe un importante laboratorio. Per il ct e magari anche il pubblico: coinvolgere piazze depresse e lontane dalla massima serie affascina, tanto il movimento è già abituato all’idea di un’Italia itinerante.
Prendendo una sfida a caso, oltre 20 mila persone nel 2007 assistettero a Inghilterra B-Albania e possiamo farci un pensierino: un esperimento gratuito, facile facile, che rischia di aiutare per davvero davvero. Ma forse troppo facile perché chi di dovere vi faccia un pensierino.