Vendere il Milan per risalire la… China

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La voce comincia a circolare attorno all’ora di pranzo: secondo l’agenzia ASKA, il Milan sarebbe pronto per essere venduto a un gruppo cinese, per una cifra astronomica (superiore al miliardo di euro). La prima cosa da controllare era la data: 2 aprile 2015. Quindi non il primo aprile, ma il giorno dopo: il fatto può essere verificato o meno, ma la notizia è sicuramente vera.

Ciò che si può dire è che, in ogni caso, non è un caso. Le notizie di una cessione della gloriosa società rossonera si rincorrono da mesi, anzi da qualche anno: dapprima più alla spicciolata (il primo contatto di Rezart Taçi con il calcio italiano fu un tentativo di acquistare il Bologna prima e il Milan poi: si parla del 2009), poi in modo sempre più insistente negli ultimi mesi (l’ultima era quella del thailandese Bee Taechaubol). Nel mezzo, lotte intestine (Galliani a un passo dall’addio, e poi restaurato) e allenatori (Allegri confermato ed esonerato, Seedorf nuova via presto abbandonata, Inzaghi invece pure).

Una gestione recente, insomma, puntata all’immediato: senza un reale disegno per il futuro. Onestamente, lo si può anche concedere: dopo quasi un trentennio, la proprietà potrebbe essere stanca e volere guardare altrove. Oltretutto, nei primi due decenni i risultati non sono mancati (eufemismo); quest’ultimo ha portato in dote poco, dopo la Champions League 2006/7. Soprattutto: sì, uno scudetto e una supercoppa, ma mai l’impressione di un progetto convinto e convincente.

Quindi, vera o falsa che sia la pista cinese, l’idea di passare la mano non è comunque granché peregrina. È comprensibile. Un po’ meno lo è la voce che subito avvenga una cessione del 75% delle quote, per una cifra che viene data tra il miliardo e il miliardo e mezzo di euro. Come calcolare il valore del Milan, oggi? Vero che la squadra è poca cosa, ma il marchio è comunque globale e di successo (dietro il Real Madrid, in Champions, chi c’è, se non i rossoneri?). E la storia ha un costo: in termini di paragone col passato, ma anche di eredità spendibile.

Poi, chiaro, arrivano le smentite: sia dei cinesi che dell’attuale proprietà (con Berlusconi che poi però, in serata, avrebbe incontrato a cena un imprenditore asiatico, probabilmente Robert Lee, già visto qui in autunno). Vero, non sappiamo se abbiano parlato di cessione del Milan o di altro; quello che è sicuro è che il mondo cinese ha mostrato interesse per il calcio europeo (il miliardario Wang Jianlin ha da poco comprato il 20% dell’Atlético Madrid).

E qualche indizio rimane: perché il Milan è la squadra più famosa in Cina, e anche perché il bacino di investimento (economico e sportivo) laggiù è sconfinato. Basti pensare al nuovo programma governativo per lo sviluppo di quel calcio sempre vissuto come un imbarazzo: si dovrebbe partire formando 6.000 insegnanti, per poi rendere questo sport materia obbligatoria in 20.000 scuole. Obiettivo: creare un bacino di 100.000 potenziali giocatori di medio-alto livello (per darvi un’idea: il completissimo database di Football Manager tiene circa 550.000 record, tra giocatori e staff).

Numeri che fanno rabbrividire, altro che il miliardo di euro: l’investimento in questo caso sarebbe molto superiore; e sarebbe un investimento sul futuro. Quando (e qui viene il pensiero un po’ più maligno) il futuro immediato del Milan dice: dieci partite alla fine, ottavo posto (come un anno fa), nove punti dalla qualificazione all’Europa League. E quindi viene spontaneo pensare sì alla volata finale, ma anche a un tentativo di distrazione per “liberare” la squadra. Sia come sia, il dato è che un’epoca è agli sgoccioli, e un’altra (quale che sia) deve cominciare, per risalire la china. Magari con un derby di Milano giocato proprio in Asia.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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