C’era in Europa: il Deportivo Alavés e la più bella finale UEFA di sempre (2001)

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La città di Vitoria (in basco Gasteiz), capoluogo della provincia basca di Alava, ha avuto nel tempo una rappresentanza calcistica decisamente meno celebre di quanto espresso dai vicini dell’Athletic Bilbao, nonostante sia il centro amministrativo del “País Vasco”.
Attualmente la squadra locale del Deportivo Alavés milita in seconda divisione né storicamente può essere annoverata tra le frequentatrici consolidate dei prati di Primera Division. Tuttavia, quando fu il momento di varcare la soglia del secondo millennio,la squadra partecipò alla festa alloggiando in prima classe tra i grandi di Spagna e divertendosi al punto da conquistare il primo storico accesso ad una Coppa Europea. Durante la stagione 2000 –’01, nel piccolo stadio del “Mendizorrotza”, avente una capienza di 20.000 posti e costruito ben prima dell’aumento demografico che ha riguardato la città (nel 1924, quando gli abitanti erano all’incirca 40.000, contro i quasi 240.000 odierni), andò in scena per la prima volta la Coppa UEFA. E non solo per qualche turno preliminare, bensì fino all’ultimo minuto disponibile.

In panchina sedeva José Manuel Esnal Pardo, noto come Mané. Nativo della provincia basca di Biscaglia, Manè si era formato nelle squadre minori basche, come il Barakaldo, il Sestao. Allenerà a più riprese le selezioni nazionali giovanili dei Paesi Baschi, fino a giungere sulla panchina dell’Athletic Bilbao nella stagione 2007, raggiungendo una difficile salvezza. Il suo periodo aureo coincise con la guida dell’ Alavés, dal 1997 al 2001, nella cavalcata trionfale che avrebbe portato la piccola squadra dalla Segunda Division alla finale di Coppa UEFA. Non fu infrequente, in quegli anni vedere l’ Alavés battere il Real Madrid o il Barcellona. Il sistema di gioco era semplice, difesa e ripartenza in contropiede. Ma a innervare entrambe le fasi subentrava il carattere e l’orgoglio territoriale, tanto nell’arroccarsi quanto nel lanciarsi all’assalto.

Più che sui singoli giocatori, l’Alavés contava sullo spirito collettivo. Ma in squadra figuravano anche buoni elementi, quali gli attaccanti Ivan Alonso e Javi Moreno, poi transitato anche per il Milan, come anche il terzino rumeno Cosmin Contra, il mediano ex romanista Tomic. Con loro anche Jordi Cruyff, figlio di cotanto padre, che dopo le esperienze con Barcellona e Manchester United, eccessive rispetto al suo reale valore, nell’ Alavés stava cercando di riposizionarsi su livelli più idonei ai propri talenti.

Curiosamente, per tutta la competizione, l’Alavés non vestì la tradizionale casacca bianca e blu riservata al campionato, ma una particolare divisa rosanero, per reclamizzare in Europa i colori della Rioja, il vino prodotto nella regione di Vitoria.

Il primo turno, contro i turchi del Gaziantepspor non avrebbe fatto presagire il seguente cammino. L’Alavés infatti impattò 0-0 la prima e vinse di misura, per 4-3 nel ritorno. Già più convincente fu l’affermazione al secondo turno sui norvegesi del Lillestrom, battuti 3-1 e 2-2. Altra compagine norvegese ad arrendersi fu il Rosenborg, una buona squadra all’epoca, tuttavia superata con i punteggi di 3-1 ed 1-1.

Fu negli ottavi che l’ Alavés cambiò marcia, dopo un pareggio interno per 3-3, ottenuto in rimonta contro l’Inter. L’Inter, allenata da Marco Tardelli, vantava giocatori del calibro di Vieri e Recoba, Frey e Cordoba, Seedorf e Zanetti. I baschi andarono a sbancare San Siro, con clamoroso 2-0, grazie a un autogol di Cirillo su tiro di Jordi Cruyff e ad una rete di Tomic. Un lancio di seggiolini in campo causò l’interruzione per otto minuti della partita.
Nei quarti arrivò l’unica sconfitta del percorso verso la finale, nel derby spagnolo con il Rayo Vallecano. Sconfitta per altro indolore, visto che il 2-1 subito al ritorno era stato anticipato da un secco 3-0 domestico.

In semifinale però, l’Alavés strabordò. Opposto ai tedeschi del Kaiserslautern, ne rifilò complessivamente 9, di cui 5 all’andata e 4 al ritorno, subendo solo una rete per match. Ora l’Alavés è una macchina da gol.

La finale, disputata a Dortmund il 16 maggio 2001, oppose alla parvenu europea uno dei più blasonati club di sempre, il Liverpool. Per l’occasione, l’Alavés cambiò ancora una volta i propri colori, indossando una maglia che ricordava i colori del Boca Juniors.

Passati i tempi d’oro degli anni ’70 – ’80, il Liverpool rimaneva tuttavia una squadra in grado di intimorire chiunque. In attacco, l’astro nascente di Owen, che avrebbe vinto il pallone d’oro in quell’anno, a metà campo, il giovane Steven Gerrard. Con loro, il difensore finlandese Hippya, e il vecchio e amatissimo bomber Robbie Fowler.In panchina, Houllier.

E forse fu per emozione, forse per soggezione, ma ben prima della metà del primo tempo, l’Alavés si trovò già sotto di due gol, segnati in apertura da uno stacco da Babbel e al quarto d’ora da una combinazione Owen – Gerrard. 2-0.
Il Liverpool a questo punto forse sentì già sua la coppa e lasciò campo agli avversari. Un primo impeto di orgoglio arrivò da Ivan Alonso, che al 27’ accorciò le distanze, 2-1. Ma all’intervallo, ci si andrà sul 3-1, perché al 41’ arrivò la rete del centrocampista scozzese McAllister.
Partita finita? No, perché dagli spogliatoi riemerge un Alavés ancor più determinato, che in soli sei minuti, grazie a una doppietta del suo bomber Javi Moreno, si riportò in parità. 3-3.
Houllier allora si accorse che il Liverpool sta perdendo il confronto sul piano caratteriale e mandò in campo il veterano Robbie Fowler. Che infatti, al 28’, andò presto in gol. 4-3.
I baschi sapevano che difficilmente sarebbe ricapitato loro di vivere una serata simile e di nuovo si lanciarono in attacco, di nuovo fecero soffrire il Liverpool, di nuovo pareggiarono, ad un minuto dal termine, con una rete di Jordi Cruyff. 4-4.
Ma ai supplementari, l’Alavès arrivò a corto di fiato. E, per di più, perdendo per espulsione due uomini. In 9 contro 11, dopo quasi 120’, arrivò il colpo fatale, quello da cui non è più possibile riprendersi. E, per dare un tocco di amaro alla degustazione del finale, si trattò di una sfortunata autorete, del difensore Geli. Fu un golden autogoal, la partita si chiuse così, 5-4, al termine di una pazzesca rincorsa di reti.

Per l’Alavés e per la città di Vitoria l’avventura terminò così. Senza poter alzare la Coppa UEFA, ma con la soddisfazione di aver partecipato alla finale più bella che il trofeo ricordi.

Di seguito, il tabellino.

Liverpool – Deportivo Alaves 5-4 d.t.s.
Liverpool (4-4-2): Westerveld; Babbel, Henchoz (11′ st Smicer), Hyypia, Carragher; Gerrard, McAllister, Hamann, Murphy; Owen (34′ st Berger), Heskey (20′ st Fowler)
Alavés (4-4-2): Herrera; Contra, Eggen (23′ pt Ivan Alonso), Karmona, Téllez; Geli, Desio, Tomic, Jordi Cruyff; Astudillo (1′ st Magno), Javi Moreno (20′ st Pablo)
Arbitro: Veissiere (Fra)
Reti: 4′ pt Babbel, 16′ Gerrard, 27′ Alonso, 41′ McAllister; 3′ st e 6′ Javi Moreno, 28′ Fowler, 44′ Cruyff; 11′ sts aut. Geli .
Espulsi: 9′ pts Magno; 10′ sts Karmona.
Spettatori: 51.000
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Qui, un video della partita

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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