NBA – Personaggi 2015: DeAndre, il #35 e qualcosa di più alto

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Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.

Sul cuore, DeAndre Jordan da Houston ha inciso queste parole del Vangelo di Matteo.
E di lacrime il suo viso, sempre malinconico, sembra essere spesso solcato. Per capirne le ragioni ci viene in aiuto un blog (“The Cauldron”, consigliatissimo) che presta la penna a questo omone da due metri e undici dall’animo forte e dallo spirito inscritto nella roccia. L’America è questo Paese, quello in cui il centro dei Los Angeles Clippers può rispondere alla domanda “Sei arrabbiato per non essere stato scelto per l’All-Star Game?” scrivendo un pezzo di mille parole su un sito letto da milioni di persone in tutto il Mondo. Quello in cui DeAndre coglie l’occasione per aprire il suo cuore e darci una lezione di stile in mondovisione.

A 18 anni, Tobi Oyedeji è alto 6 piedi e 9 pollici, poco più di due metri. All’ultimo anno di high school, ha già firmato per Texas A&M e l’allenatore di tale ateneo Mark Turgeon è pronto a dargli la chiavi della sua creature per portarla in alto nelle classifiche NCAA. Quel maggio 2010, la notte successiva al famoso “prom”, cioè l’attesissimo ballo della scuola che si svolge in tutti i licei americani, Tobi compie una manovra avventata e collide con due vetture che procedono in verso opposto. Il chirurgo non riesce a salvarlo e il giovane di Bellaire, città texana di 15000 anime all’interno dell’area metropolitana di Houston, perde la vita dopo poche ore di agonia.
Brett Jordan, fratello di DeAndre, perde un compagno di classe. Il giocatore dei Clippers, allora al secondo anno di professionismo, il suo primo ammiratore; è una perdita che segna profondamente la famiglia Jordan, ma soprattutto il più grande dei fratelli, che aveva aiutato Tobi durante il processo di reclutamento che l’aveva portato a firmare per Texas A&M, stessa università frequentata dal primo qualche anno prima.

L’America è anche quel Paese dove tutto passa su Twitter. Ogni giorno in cui DeAndre ha una partita (e non ne salta mai una) egli accende il cellulare e la prima cosa che fa è scrivere “#35” e taggare l’amico che non c’è più sul celebre social network. E, come spiega nell’articolo di cui vi abbiamo parlato, non è solamente un modo per ricordare lo sfortunato adolescente.
“La morte di Tobi mi fece pensare a cosa fosse più importante per me”. Il lutto subìto ha rimesso in discussione la sua fede, ma DeAndre ha trovato in essa la risposta per entrare nell’Olimpo dei grandi dell’NBA.
Nella stagione 2010-2011 raddoppia il numero di stoppate a partita, strappa 9 minuti di impiego a partita in più, diventa titolare. Con 300 partite consecutive giocate, di cui 82 da partente sia nel 2012-2013 che nel 2013-2014, è l’attuale recordman in NBA. La scorsa stagione ha ottenuto il maggior numero di rimbalzi della lega, scrivendo il suo nome di fianco a quello di mostri sacri come Akeem Olajuwon, Dennis Rodman, Kevin Garnett e Dwight Howard.

Prima di ogni partita DeAndre si guarda i braccialetti legati ai polsi. Sopra c’è una croce bianca, la scritta “Tobi Oyedeji”. Ripensa a quando si guardavano negli occhi nella palestra di Bellaire mentre il giocatore NBA aiutava l’altissimo ragazzino a diventare una stella.
E nonostante il ricordo gli dia ancora qualche brivido di malinconia ben dipinto sul volto, nulla potrà scalfire il suo animo, tanto meno una misera convocazione mancata all’All-Star Game.

“Dirk (Nowitzi, ndr) è uno dei più grandi di sempre. Sono deluso ma lui si merita la convocazione quanto me”. Vi avevamo detto che doveva darci anche una lezione di stile…

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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