Terracina calcio, la squadra “senza tifosi”

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Né Beirut né Kabul. E neanche nessun altro scenario di guerra o di tensione internazionale. La questione ambientale legata alle situazioni extra-calcistiche non è parte integrante di una storia paradossale e tragicomica, con sfumature di autolesionismo e burocrazia all’italiana. Il Terracina calcio è una squadra che milita da due stagioni nel girone G della Serie D, dove attualmente occupa il 16/o posto della classifica. La formazione tirrenica solo l’anno scorso sfiorò la storica promozione in Lega Pro, perdendola nelle ultime quattro giornate a discapito della Lupa Roma.

Stadio vuoto, collinetta piena

Fin qui il campo, arbitro e giudice di vittorie e sconfitte, grandezze e miserie (calcistiche). L’unica stranezza del percorso tra i dilettanti della formazione tirrenica riguarda il contorno, ovvero i tifosi: dal 24 febbraio del 2014 (Terracina-Sora 1-2), infatti, il Terracina calcio non gioca più davanti ai propri tifosi. “Ordine pubblico” disse l’ex prefetto di Latina D’Acunto a seguito degli scontri post partita tra tifosi locali e supporters del Sora, rinforzando la propria posizione con la necessità da parte sia della società che del comune di costruire una strada alternativa per l’accesso dei tifosi all’impianto di via Ceccaccio.

Da li ebbe inizio la travagliata avventura della società biancoceleste, la diaspora dei tifosi terracinesi. Daspo in serie, partite in trasferta per tutto il lazio, divieti e restrizioni. Nel mezzo, un campionato perso, osservando i propri beniamini da una collinetta adiacente il campo (fatta eccezione per una manciata di gare), e salendo alla ribalta delle cronache persino su “Striscia la Notizia”. “Stiamo comodi anche qua” scrissero con tagliente ironia i tifosi dei tigrotti, facendo prevalere il sarcasmo alla violenza, il senso identitario alla reazione scomposta.

Poi venne la torrida estate delle promesse e delle rassicurazioni, che lasciò presto spazio alla rassegnazione. Lo scollamento tra la squadra e molti tifosi (vuoi per i risultati sportivi, vuoi per l’assenza forzata dai gradoni), che diventa sempre più netta e lacerante, quasi a far da monito per il futuro.

Sedotti e “abbandonati”

L’ultimo capitolo della saga si materializza a  fine novembre: l’assessore ai lavori pubblici Marcuzzi ottiene il via libera ai lavori per la creazione di un percorso d’accesso distinto per i tifosi di casa e quelli ospiti, ultimando la recinzione e la separazione delle due strade nel giro di poche settimane. Sembra fatta, in città fervono i preparativi per la nuova inaugurazione del “Mario Colavolpe”, dopo sette anni di tira e molla (impreziositi da un campionato di Eccellenza vinto ai play off), autorizzazioni concesse e revocate, aperture lampo e restrizioni di massa.

E invece no. L’osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, unitamente al nuovo prefetto Faloni bloccano la riapertura dell’impianto.  Almeno fino a quando non verranno predisposti due distinti percorsi d’esodo per ciascuna tifoseria. Il Comune incassa il colpo, gettando al vento denari e credibilità. Il Terracina calcio, invece, si trincera dietro un silenzio stampa assordante. La questione stadio scotta, preoccupa. Alimenta tensioni.

Tifosi protagonisti, squadra in disgrazia

Oltre 300 giorni senza il supporto della propria gente. Un record unico in Italia e nel mondo. Nel cuore dell’europa civile una squadra di calcio “cammina sola”e lotta senza il dodicesimo uomo. Per sopperire alle evidenti difficoltà sopraggiunte, un gruppo di fans terracinesi crea “Mia Terracina Supporters Trust”, un’associazione non a scopo di lucro che cerca di restituire dignità ai colori biancocelesti, promuovendo iniziative di carattere sociale e aiutando in modo concreto il club. Il tifoso non più spettatore, ma elemento essenziale del gioco.

Un piccolo passo in avanti verso la terra promessa. Chiamasi amore per la squadra della propria città. E mai come nella situazione attuale del Terracina (reduce da nove sconfitte nelle ultime dieci gare) occorrono vicinanza e supporto. Perché, citando Khalil Gibran: “Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte”. Anche se all’ombra del Monte di Giove attendono (ormai da tempo immemore) –  in modo decisamente più pragmatico  – altre strade per intravedere un nuovo giorno.

Luciano Savarese
Luciano Savarese
Nato a Terracina il 1° febbraio 1989. Amante di tutto ciò di sferico che rotola su un campo rettangolare. Collaboratore presso diverse testate giornalistiche, sportive e non. Studia Lettere alla Sapienza di Roma.

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