C’era un Mondiale: Brasile 1950, il Miracolo di Belo Horizonte. Gloria e tragedia di “Joe” Gaetjens

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Dopo l’interruzione bellica, i Mondiali tornarono a distanza di 12 anni dall’ultima edizione, prima che l’oblio calasse sulla competizione. Ad ospitarli fu il Brasile, sia in applicazione di un principio di alternanza continentale, sia perché l’Europa era ancora seriamente provata dalla ricostruzione. Per le difficoltà economiche, alcune squadre rinunciarono a partecipare. Altre, come l’India, rinunciarono malgrado la qualificazione perché non accettarono il divieto di giocare a piedi nudi. In applicazione delle sanzioni internazionali, Germania e Giappone non furono invitate alla competizione.

Chi invece accettò di partecipare per la prima volta ad un mondiale, fu l’Inghilterra. I maestri del calcio fino ad allora avevano sempre disdegnato la competizione, in nome della propria manifesta superiorità. Tre ori olimpici raccolti nel 1900, 1908, 1912 avevano dimostrato che i maestri non potevano competere con gli allievi. Coloro che avevano inventato ed esportato il calcio, dando regole e schemi al gioco (già negli anni ’20, il tecnico dell’Arsenal Chapman aveva rivoluzionato gli assetti tattici inventando il “sistema”), da sempre guardavano dall’alto in basso il resto del mondo, preferendo rimanere in uno splendido isolamento competitivo e limitandosi alle sfide interbritanniche.
Ma all’indomani del conflitto mondiale, in un nuovo clima europeo teso a promuovere le relazioni tra stati, l’Inghilterra dapprima tornò all’interno della FIFA – da cui era uscita nel 1920 dopo che era stata costretta a schierare alle olimpiadi una squadra di dilettanti – poi accettò di mettere in gioco il proprio blasone in Brasile.
Del resto, una recente serie di risultati sembrava dar ragione agli inglesi. A Glasgow, nel 1947, l’Inghilterra si impose con un tennistico 6-1 ad una selezione del resto d’Europa. E nella tournèe svolta in preparazione del mondiale, inanellò, sempre in trasferta, risultati eclatanti: 10-0 al Portogallo, 5-2 al Belgio, 3-1 alla Francia, 4-0 all’Italia. A trascinare la squadra, campioni come Alf Ramsey, Mortensen, Finley, Wright. E Sir Matthew Stanley.

L’esito del mondiale pertanto avrebbe dovuto essere scontato. L’unico possibile avversario per gli inglesi avrebbe potuto essere il Brasile di Ademir, padroni di casa, capaci di giocare un calcio spettacolare e supportati da milioni di tifosi.

Ma non fu così. I sogni del Brasile si spensero in un pomeriggio rimasto nella storia come “Maracanazo”. La sconfitta più dolorosa della storia del calcio. L’Uruguay di Obdulio Varela, Ghiggia e Schiaffino si aggiudicò il trofeo, ribaltando risultato e copione. Da Osvaldo Soriano a Galeano, molti scrittori sudamericani si sono occupati della “Waterloo dei Tropici”.

Per l’Inghilterra invece, il gioco finì ancora prima. Dopo la partita d’esordio, in cui gli inglesi si imposero sul Cile con un tutto sommato modesto 2-0, i maestri inglesi erano attesi per un confronto apparentemente senza storia contro i modesti dilettanti degli USA.
Quando nel 1620 i padri pellegrini imbarcati da Plymouth sulla Mayflower raggiunsero le coste statunitensi, non avevano ancora a disposizione un pallone. Il calcio negli USA da sempre rimaneva in ambito semiprofessionistico, bel lontano dai livelli di organizzazione e sviluppo affinati nella madrepatria inglese. Solo due anni prima, nel 1948, gli USA avevano perso per 11-0 dalla Norvegia. Anche se, a onor del vero, gli USA avevano già partecipato alla prima edizione dei mondiali, onorandola con un terzo posto e anche a quella del 1934.

Il 29 giugno del 1950, a Belo Horizonte, le due squadre scesero in campo, dirette dall’arbitro italiano Generoso Dattilo.
Gli inglesi rinunciarono a schierare Matthew Stanley, preferendo tenerlo a riposo. Gli altri erano regolarmente in campo. Si dice che prima dell’intervallo, i giocatori inglesi erano tanto tranquilli da consumare birre e fumare sigari.
Nonostante la pressione inglese, la partita non si sbloccava. Anzi, al 37’, in un momento di bassa pressione albionica, si verificò l’evento inaspettato. Su un tiraccio dalla distanza, destinato a finire tra le braccia del portiere britannico, s’avventò in tuffo il nero Joseph Eduard Gaetjens, per gli amici “Joe”, e di testa deviò pallone e traiettoria in fondo al sacco.
Il capitano inglese Wright così ricordò l’episodio: “Gaetjens si lanciò verso la palla ma all’ultimo momento decise di ritirarsi. La palla gli rimbalzò sulla testa e si infilò alle spalle di Williams, che rimase di sasso”.
Con l’intero secondo tempo a disposizione, ci si aspettava che gli inglesi avrebbero ribaltato agevolmente il risultato. Ma la difesa statunitense si dimostrò organizzata, le linee ben serrate e i furori agonistici britannici furono interamente assorbiti dalla barriera protettiva, dal portiere e anche un po’ dalla sorte. Gli americani giocarono “the game of their lives” (come ricorda un film dedicato all’impresa). Al triplice fischio si era consumato quello che venne definito il “Miracolo di Belo Horizonte”. In Inghilterra accolsero la notizia dapprima con incredulità, tanto che i giornali ritardarono la pubblicazione della notizia, credendo ad un refuso nella trascrizione intercontinentale, in cui si era sicuramente perso un “1” davanti allo zero nel tabellino delle marcature inglesi. Poi, fu solo vergogna. Gli inglesi, umiliati e demotivati, persero anche il successivo confronto contro la Spagna del cannoniere Zarra, uscendo al primo turno.

Fu il primo colpo impartito al “superiority complex” degli inglesi. Tre anni dopo, in amichevole a Wembley, la Grande Ungheria avrebbe completato la lezione andando a vincere per 3-6 e polverizzando l’ “home record” novantennale.

Artefice del destino inglese fu, come detto, “Joe” Gaetjens. Di madre haitiana e padre europeo, era cresciuto lavorando come lavapiatti nel Bronx, per pagarsi gli studi alla Columbia University, prima di guadagnarsi un ingaggio grazie alle proprie doti di calciatore. Non prese mai la cittadinanza americana, ma per partecipare al mondiale gli fu sufficiente promettere di farlo.
La rete contro l’Inghilterra gli valse l’opportunità di un ingaggio in Europa, dove giocò nel Racing di Parigi. Negli Stati Uniti godeva di buona popolarità, tuttavia, una volta finita la carriera calcistica, decise di tornare ad Haiti, dove aprì una lavanderia. E questo ritorno gli fu fatale.
Ad Haiti dal 1964 si era proclamato dittatore “Papa Doc” Duvalier, che caratterizzò a lungo, nel terrore, la vita di Haiti. Malgrado Joe non si occupasse di politica, la famiglia Gaetjens aveva appoggiato la fazione avversa a Papa Doc Duvalier e fu costretta a scappare dall’isola.
Joe invece scelse di rimanere, non ritenendosi coinvolto. L’8 luglio del 1964 lo prelevarono nel suo negozio le Tonton Macoutes, famigerato squadrone della morte, per portarlo nel carcere di Fort Dimanche. Qui, stando alle ricostruzioni avvenute successivamente, fu giustiziato dopo due giorni. Alcune rilevazioni collocano lo stesso Papa Doc Duvalier come presente sul posto nel momento dell’esecuzione e si dice sia stato lui stesso ad impartire il colpo fatale.

A quattordici anni di distanza dal mondiale che lo aveva consacrato come eroe finì così tragicamente la storia di Gaetjens. Per quella data, il Brasile aveva provveduto a rimuovere il trauma collettivo con due campionati mondiali vinti consecutivamente. Mentre l’Inghilterra, avrebbe dovuto attendere ancora altri due anni. Il corpo di Gaetjens invece non fu mai ritrovato.

Di seguito, il tabellino:
29 giugno 1950 – Belo Horizonte, Estadio Mineiro

USA – INGHILTERRA 1-0
USA: Borghi – Keough, Maca, McIlvenny (c) – Colombo, Bahr – Wallace, J.Souza, Gaetjens, Pariani, E.Souza

INGHILTERRA: Williams – Ramsey, Aston, Wright (c) – Hughes, Dickinson – Finney, Mortensen, Bentley, Mannion, Mullen

Gol: Gaetjens 38′
Arbitro: Dattilo (ITA) Guardalinee: Galeati (ITA) e Delasalle (FRA)
Spettatori: 10.500


Qui, un video

Leggi anche le precedenti puntate di “C’era un Mondiale”:

1 Camerun – Colombia e i colori di Italia 90;
2 Uruguay 1930 e il primo gol della Coppa del Mondo;
3 Corea e Giappone 2002, un mondiale di… cose turche;
4 Germania 1974, “E tu dov’eri, quando segnò Sparwasser?”;
5 Italia 1934, il “Wunderteam” austriaco si arrende agli azzurri;
6 Cile 1962, il torneo di Garrincha. E di Masopust;
7 Francia 1938, la semifinale di Marsiglia e il bis dell’Italia;
8 Messico ’70, Italia-Germania 4-3 – “El partido del siglo”;
9 Argentina 1978, Olanda-Argentina e il palo che fece tremare i generali.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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