C’era un Mondiale: Argentina 1978, Olanda-Argentina e il palo che fece tremare i generali

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Fin dalle origini della Coppa Rimet, l’Argentina aspettava l’assegnazione di un mondiale. L’attesa era stata vana per la competizione del 1938, assegnata alla Francia, infrangendo una regola non scritta che avrebbe voluto l’alternanza continentale dei paesi organizzatori. Né era andata meglio con i mondiali del 1964, quando venne preferito il Cile. Infine la delusione maggiore si verificò con l’assegnazione al Messico del mondiale 1970. Così, con largo anticipo, fin dagli anni ’60 fu chiaro che il mondiale del ’78 si sarebbe giocato in Argentina.

Tuttavia nella primavera del 1976, in Argentina prese il potere un triumvirato militare, guidato dai comandanti della Marina, dell’Aeronautica e dell’esercito: Massera, Agosti e Videla, di fatto il Presidente. Il contesto politico e sociale mutò radicalmente e le violazioni dei diritti umani verso gli oppositori del regime divennero sistematiche e atroci. L’indignazione internazionale verso lo stato dei diritti umani nel paese sudamericano divenne via via crescente. Così i generali, ritrovandosi la possibilità di ospitare la Coppa del Mondo, vollero approfittare dell’evento di maggior interesse mediatico per edulcorare l’apparenza del Paese all’estero e fornire un’impressione di ordine e progresso. Per ottenere tale risultato, non lesinarono gli sforzi di diverso tipo: dalle pressioni internazionali alle intimidazioni, fino all’ingaggio di agenzie statunitensi specializzate nella gestione dell’immagine.

Alcune squadre, come Svezia, Olanda e Francia considerarono l’idea del boicottaggio, ma alla fine, anche su pressione della Fifa, tutte le squadre parteciparono regolarmente. Mancò invece la stella indiscussa del mondiale precedente, l’olandese Johann Cruyff e per molto tempo si motivò la sua uscita dagli Orange come un’obiezione di coscienza verso la partecipazione al mondiale. Tuttavia anni dopo, Cruyff stesso affermò di non essere partito perché mentalmente condizionato da un tentativo di rapimento avvenuto nella sua casa di Barcellona qualche mese prima, che lo avrebbe profondamente scosso, spingendolo a limitare i propri spostamenti.

Un’altra assenza si notò, soprattutto in Argentina. Non partecipò nemmeno il capitano della nazionale, il terzino Jorge Carrascosa. Uomo di temperamento e guida in campo della selecciòn, sarebbe stato colui che avrebbe dovuto sollevare la coppa e stringere la mano a Videla in caso di vittoria. Ma si chiamò fuori, poco prima, ritirandosi dal calcio giocato a soli trent’anni. In seguito, non motivò mai il gesto e si tenne in disparte dalle cronache. “El lobo” Carrascosa, come veniva soprannominato, semplicemente decise che non voleva più avere a che fare con quel mondo.

All’inizio della competizione, tutto era perfettamente apparecchiato. Lo scrittore Edoardo Galeano ci riporta alcune testimonianze: il Presidente della Fifa Havelange, premiato da Videla durante la cerimonia di Ghostwriter Hausarbeit inaugurazione: “Alla fine il mondo può vedere la vera immagine dell’Argentina”. Henry Kissinger, segretario di stato americano: “Questo paese ha un grande futuro”. Berti Vogts, capitano della nazionale tedesca che diede il calcio d’inizio: “L’Argentina è un paese dove regna l’ordine. Io non ho visto nessun prigioniero politico”.

In realtà, si calcola che solo durante il mese di giugno ’78, durante la manifestazione, 63 desaparecidos si aggiunsero ad una lunghissima lista. A pochi metri dallo Stadio Monumental di Buenos Aires, era in piena funzione la Escuela de Mecanica de la Armada, uno dei più famigerati luoghi di detenzione e tortura.

I cinquemila giornalisti sportivi ebbero l’ordine di scrivere solamente di calcio. E anche i calciatori vissero blindati e instradati nei binari della manifestazione. L’unico che si distinse, tra i 352 convocati, fu il portiere svedese Ronnie Hellstrom, che nel giorno della partita inaugurale si unì alla marcia delle madri di Plaza da mayo, in cerca di verità per i propri figli desaparecidos.

L’imperativo unico della formazione Argentina era quello di vincere il mondiale. Si trattava di un’ottima formazione, che poteva contare sui talenti di Kempes, cannoniere dalla progressione devastante, Daniel Bertoni (poi Fiorentina e Napoli), altro ‘puntero’ di qualità, il centrocampista Ardiles e il libero Passarella (poi Fiorentina ed Inter), regista difensivo di classe e grinta. Non era stato convocato un giovanissimo diciassettenne che pure faceva già parlare molto di sé e che avrebbe dovuto accontentarsi di vincere, in quell’occasione, i mondiali di categoria: Diego Armando Maradona.
Ma la vera particolarità della squadra era l’allenatore: Julio Cesar Menotti, la cui ostilità verso il regime era ben nota e tuttavia veniva tollerato in quanto considerato l’unico allenatore che avrebbe potuto portare la squadra alla vittoria. L’Argentina, malgrado la propria forza ebbe difficoltà e nel girone fu battuta dall’Italia di Bearzot, che stava facendo le prove per la vittoria nel quadriennio successivo.

Vale la pena soffermarsi su quell’Italia, fondata su un blocco Juventus (Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Cuccureddu, Causio, Benetti, Tardelli e Bettega) e impreziosita dai talenti di Antognoni, Zaccarelli e del giovane centravanti del Vicenza, Paolo Rossi. L’Italia finì al quarto posto, superata in semifinale dall’Olanda, dopo esser andata in vantaggio grazie ad un’autorete, poi rimontata da due tiri di Brandts e Haan che sorpresero Dino Zoff. Tuttavia, di quel mondiale, rimane il ricordo della rete di Bettega che consentì all’Italia di battere proprio l’Argentina: un perfetto triangolo innescato da Antognoni, rifinito da Paolo Rossi con un pregevole colpo di tacco e definito da Bettega con una palla nell’angolo. Uno dei gol più belli della storia azzurra.

L’Argentina andò in difficoltà anche contro il Brasile di Rivelino, Zico, Dirceu, Toninho Cerezo e Roberto Dinamite, fermandosi sullo 0-0. Per passare il turno in virtù della differenza reti, fu necessario rifilare sei gol al Perù, in una partita che apparve talmente facile e aggiustata, da meritarsi l’appellativo storico di ‘marmelada peruana’.

L’altra finalista fu l’Olanda. Pur priva di Cruyff in campo, l’Arancia Meccanica poteva ancora contare su Neeskens, Rep, Rensenbrink e Krol, oltre ad una nuova leva rappresentata dai gemelli van de Kerkhof, Willy e Renè. Non più epocale e sconvolgente come quattro anni prima in Germania, tuttavia l’idea di Ghostwriter calcio olandese rappresentava ancora un’avanguardia brillante a cui il resto del mondo tentava di adeguarsi. In panchina, Michels era stato sostituito da Happel, il tecnico austriaco che aveva portato il Feyenoord a vincere la Coppa dei Campioni, prima ancora dell’esplosione dell’Ajax di Michels.

La finale si giocò a Buenos Aires, tra Olanda e Argentina, diretta dall’arbitro italiano Gonella. In tribuna, poco distante dal generale Videla, sedeva Licio Gelli, qualche anno dopo divenuto noto come gran maestro della loggia massonica eversiva P2.
Mentre a pochi chilometri di distanza gli aerei scaricavano in mare il loro carico di prigionieri politici, Menotti si rivolgeva ai suoi giocatori: “Non vinciamo per quei figli di puttana, vinciamo per alleviare il dolore del popolo”.

Dopo soli 9 minuti andò in rete Mario Kempes e la partita sembrò virtualmente già conclusa, anche perché l’arbitro sembrava tollerare bene il gioco duro e a tratti intimidatorio degli argentini (una gomitata di Passarella costò due denti a Neeskens). Tuttavia una leggerezza difensiva argentina, consentì all’olandese Nanninga di acciuffare un pareggio che sembrava impensabile, a dieci dal termine.

Quel che accadde dopo è molto più che impensabile. Si paventò qualcosa che non doveva succedere e che avrebbe cambiato le sorti di quel mondiale. E forse anche qualcosa in più. Successe al 90’, quando il forte attaccante olandese Rob Rensenbrinck, già autore di 5 gol nella manifestazione tra Hausarbeit schreiben lassen Kosten cui il numero 1000 della storia, ricevette una palla da Krol, si coordinò e da posizione defilata lasciò partire un tiro sul quale il portiere Fillol apparve immediatamente fuori causa. Dopo un attimo di sospensione universale, la palla si stampò sul palo. Si può immaginare che in molti sugli spalti, soprattutto tra i generali e gli addetti ai lavori più compiacenti, tirarono il fiato. Gonella fischiò la fine e per la prima volta una finale dei Mondiali terminò ai tempi supplementari. A quel punto, gli olandesi esausti per il dispendio energetico legato alla loro idea di calcio totale, crollarono. Un gol di Bertoni e uno di Kempes fissarono il punteggio finale sul 3-1. Grazie ad un palo conciliante, i generali ottennero la vittoria finale. Fu Passarella a ricevere la coppa da Videla.
I giocatori olandesi rifiutarono poi di presentarsi alla premiazione, ritirandosi negli spogliatoi.

Rob Rensenbrinck, detto il ‘serpente’ per le sue caratteristiche fisiche sguscianti, uomo dal carattere molto riservato e schivo (tanto che alcuni sostengono che solo per questo limite di personalità più che per un fatto tecnico, non sia stato pari a Cruyff), da allora è stato continuamente interrogato sull’episodio. Un palo maledetto. “Quella palla non sarebbe mai potuta entrare. Non c’era spazio sufficiente, ho tirato dalla linea di fondocampo. Sarebbe stato meglio se avessi sbagliato di tanto, almeno nessuno mi chiederebbe più di quel palo…”, sostenne anni dopo, quasi a voler scrollarsi di dosso una maledizione. In qualche altra dichiarazione però, lamentò anche il fatto di essere andato a dieci centimetri dalla storia.

Di seguito, il tabellino e le immagini, dell’incontro.

Buenos Aires 25-6-1978 – (Monumental)
Argentina-Olanda 3-1 d.t.s.

Argentina: Fillol, Olguin, Tarantini, L. Galvan, Passarella, Ardiles (65’ Larrosa), Bertoni, Gallego Luque, Kempes, Ortiz (74’ Houseman).

Olanda: Jongbloed, Jansen (72’ Suurbier), Poortvliet, Brandts,Masterarbeit schreiben lassen, Haan, W. Van de Kerkhof, Neeskens, Rep, (58’ Nanninga), R. Van de Kerkhof, Rensenbrink.

Reti: 38’ Kempes, 81’ Poortvliet, 104’ Kempes, 114’ Bertoni.
Arbitro: Gonella (Italia).

Qui, un video

Leggi anche le precedenti puntate di “C’era un Mondiale”:

1 Camerun – Colombia e i colori di Italia 90;
2 Uruguay 1930 e il primo gol della Coppa del Mondo;
3 Corea e Giappone 2002, un mondiale di… cose turche;
4 Germania 1974, “E tu dov’eri, quando segnò Sparwasser?”;
5 Italia 1934, il “Wunderteam” austriaco si arrende agli azzurri;
6 Cile 1962, il torneo di Garrincha. E di Masopust;
7 Francia 1938, la semifinale di Marsiglia e il bis dell’Italia;
8 Messico ’70, Italia-Germania 4-3 – “El partido del siglo”.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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