Giallo Mondiale presenta… 1930: La pazza idea di Jules Rimet

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Quali motivazioni spinsero un uomo francese a lottare per organizzare il Campionato del Mondo di calcio? Senza dubbio le più nobili. Ma come riuscire nell’impresa? Un vero e proprio giallo, coronato da un lieto fine. Storia della pazza idea di Jules Rimet.

DATA: 1924-1930

EVENTO: organizzazione del Campionato del Mondo di calcio

PROLOGO

Esisteva già una competizione calcistica per squadre nazionali di tutti i continenti: i Giochi Olimpici. Ma la manifestazione a cinque cerchi non rappresentava nei fatti la realtà del vero calcio internazionale, essendo riservata a soli giocatori dilettanti. Quindi, per forza di cose, moltissimi tra i migliori calciatori ne venivano esclusi. L’Inghilterra e gli altri membri FIFA britannici, anche per questa diatriba legata allo status di “amateur”, avevano disertato le Olimpiadi 1924 e 1928: addirittura nel 1926 si erano autoesclusi dalla FIFA. Si chiamarono fuori da questi due tornei anche grandi squadre del periodo quali Austria, Cecoslovacchia e Ungheria. Fu così che nel 1924, il presidente del massimo organismo internazionale, il francese Jules Rimet, decise di insediare una commissione di cinque membri (Bonnet, Delaunay, Ferretti, Linnemann, Meisl) al fine di verificare le condizioni per la nascita di una manifestazione mondiale “open” al di fuori del contesto olimpico.

Jules-Rimet
Jules Rimet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I FATTI

Nel 1928, durante il Congresso FIFA ad Amsterdam, la Commissione annunciò trionfante: Questa Assemblea decide di organizzare nel 1930 una competizione aperta alle squadre nazionali di tutte le federazioni associate. Ci fu da subito una reazione diffidente a tale affermazione, nata dai dubbi sulle reali possibilità di realizzare un progetto di tale portata. Ma chi in quel momento storse il naso, forse, non era a conoscenza della caparbietà irriducibile di Rimet. Italia, Olanda, Spagna, Svezia, Ungheria ed Uruguay avanzarono la propria candidatura per organizzare la prima edizione. Al successivo Congresso a Barcellona (18 maggio 1929) venne comunicata la scelta, che cadde sull’Uruguay, bi-campione olimpico in carica e che, oltre al blasone sportivo, propose anche la voglia di festeggiare degnamente il centenario dalla nascita della Costituzione repubblicana che sancì l’indipendenza del Paese. Fu stabilito che la manifestazione si sarebbe disputata ogni quattro anni, in alternanza con i Giochi. Inoltre, venne immediatamente commissionato all’orafo francese Abel Lafleur il trofeo destinato alla nazione vincitrice: una vittoria alata in oro massiccio, alta 30 centimetri e pesante 1,8 kg. Dopo la seconda guerra mondiale, la Coppa verrà intitolata al padre del Mondiale. Il Brasile, vincendola per la terza volta nel 1970, se la aggiudicherà definitivamente.

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La Coppa Rimet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma non passò molto tempo e Rimet si trovò di fronte ai primi ostacoli. Nonostante il contagioso entusiasmo dell’Uruguay che propose un progetto ambizioso, ci si trovò a dover analizzare attentamente la situazione economico-politica del piccolo stato sudamericano. Proprio nel 1929 si verificò il celebre crack della borsa di Wall Street: l’Uruguay, legatissimo alle vicende finanziarie degli Stati Uniti, fu messo in grandi difficoltà. Ma con la possibilità di una grande vetrina come sarebbe stata quella del primo Mondiale, pubblicizzato in pompa magna da tutta la stampa, a Montevideo e dintorni si decise di unire le forze per andare avanti. Un grande evento necessitava di un impianto all’altezza. L’Estadio Centenario fu tirato su in appena 5 mesi, tra febbraio e luglio 1930. Turni massacranti 24 ore su 24 e una spesa da un milione di pesos portarono a luce uno stadio maestoso. Se da una parte nel paese ospitante i lavori procedevano a ritmi incessanti per finire in tempo l’impianto, Jules Rimet si trovò tra le mani un’altra grana niente male: la partecipazione al torneo da parte delle formazioni europee. Attraversare l’Oceano Atlantico, in quegli anni, poteva avvenire solo via mare. Per chi poteva permetterselo, rappresentava un costo salatissimo in termini di denaro e tempo. Settimane, almeno sei. Ma anche quelle poche federazioni che avrebbero potuto permettersi questo, avevano un altro problema. Quello della disponibilità dei propri calciatori, che affiancavano il pallone a un impiego lavorativo extracalcistico, e quindi impossibilitati a lasciare il lavoro per così tanto tempo. Per questo motivo, oltre alle squadre britanniche già chiamatesi fuori, rinunciarono anche Italia e Spagna. Il novero delle compagini del Vecchio Continente si ridusse notevolmente, sia numericamente che qualitativamente. Ovviamente, partecipò la Francia, patria di Rimet, il quale dovette sudare sette camicie – quasi tre mesi di pellegrinaggi su e giù per la nazione – per strappare i permessi necessari agli atleti. Il presidentissimo riuscì nella sua impresa, ma non completamente: il fuoriclasse Manuel Anatol e il C.T. Gaston Barreau non riuscirono a salpare per l’Uruguay. Con i transalpini, parteciparono anche Belgio, Jugoslavia e Romania. La scarsa presenza europea indispettì gli uruguaiani, che per gareggiare (e vincere) alle Olimpiadi in Francia e Olanda avevano speso ingenti risorse economiche. Nelle edizioni successive, la Celeste renderà pan per focaccia… Come era logico prevedere, il gruppo di selezioni del continente americano in Uruguay fu numeroso: Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Messico, Paraguay, Perù e Stati Uniti risposero positivamente all’invito, sebbene solo le prime due compagini nutrissero speranze di vittoria. Il Centenario venne ultimato il 10 luglio, giusto in tempo per l’apertura del torneo, prevista per il 13. Il calendario vide Francia-Messico quale prima gara assoluta nel romanzo dei Mondiali. Lucien Laurent realizzò il primo gol. Così, la nazionale e un connazionale dell’ideatore del torneo, entrarono con lui nella storia.

EPILOGO

L’Uruguay padrone di casa coronò il suo grande Mondiale conquistando la Coppa battendo in finale per 4-2 l’Argentina. La Celeste confermò la sua egemonia dopo i due allori olimpici. Quello che all’inizio era considerato un pensiero assurdo di un francese e uno spreco di soldi per una nazione in crisi economica, divenne molto di più, come scrisse lo storico giornalista uruguaiano Osvaldo Heber Lorenzo: “Al termine della gara decisiva, i sostenitori uruguagi e argentini festeggiarono insieme, con i “gauchos” a riconoscere cavallerescamente la superiorità degli “orientales”. Tutto fu molto emozionante, le “calles” di Montevideo si riempirono di gente in festa, persone che stavano vivendo un’euforia che solamente il calcio può regalare”. Se da una parte il senso di “sportività cavalleresca” è un valore ormai quasi estinto, Lorenzo avrebbe proprio ragione anche oggi sull’euforia che durante i Mondiali di calcio le persone riversano in tutte le città del pianeta. Il torneo iridato è diventato l’evento sportivo più seguito al mondo. Grazie alla pazza idea di Jules Rimet.

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L’Uruguay campione del mondo 1930

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggi anche le precedenti puntate di “Giallo Mondiale”:
1 1962: la Battaglia di Santiago;
2 Il male oscuro di Ronaldo;
3 Marmelada Peruana;
4 La Germania e il morbo misterioso;
5 Il Messico amaro di Lodetti.

Fabio Ornano
Fabio Ornano
Cagliaritano, classe '81. Pazzo per Brera, Guerin Sportivo e Panini. Da anni membro di MP: principalmente ed inevitabilmente, per scrivere sulla storia del calcio. Italiano ed internazionale.

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