Storie di Provincia: un salto nel tempo, la Pro Patria e la Triestina (di Rocco e Saba)

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Nata nel 1919 a rappresentare la città di Busto Arsizio, la Pro Patria contribuì a rappresentare il calcio lombardo in serie A per ben 14 stagioni, prima di abbandonare la serie A nella stagione 1955-56. La squadra era presente al campionato del 1929-30, in cui la serie A passò da un format a gironi regionali all’attuale forma di campionato nazionale, come tuttora la conosciamo.

I bustocchi – altresì ribattezzati dalla stampa sportiva “i tigrotti” – indossavano una divisa a strisce orizzontali bianco-blu con pantaloncini azzurri, più simile a quelle del Rugby che alle tradizionali casacche calcistiche. La Pro Patria disputò sempre campionati orientati alla lotta per la salvezza.

Un episodio particolare della vicenda calcistica di questa squadra è legato al tesseramento nella prima vera del ’49 dell’esule magiaro Laszlo Kubala, fuoriclasse di fama mondiale. Per dare un termine di paragone, si potrebbe richiamare l’ingaggio di Zico all’Udinese negli anni ‘80 (o quello fantomatico e mai avvenuto di Chinaglia al Frosinone, per citare una celebre canzone di Rino Gaetano). A favorire l’ingaggio furono i connazionali István Turbéky e Jeno Vinyei, già in forza alla Pro Patria. Tuttavia, si sollevò l’ostracismo del regime comunista magiaro e al giocatore venne formulata l’accusa di aver violato gli obblighi di leva; in seguito il giocatore venne squalificato, il tesseramento fu bloccato ed il campione magiaro non scese mai in campo.

Il miglior risultato raggiunto dalla Pro Patria fu un nono posto ottenuto nel 1931-32, abbellito da un successo interno per 2-0 ai danni del Milan (il rendimento interno fu sempre il punto di forza della squadra). Negli anni della permanenza in serie A, la Pro Patria annoverò tre giocatori convocati in Nazionale.

Molto lunga e onorata fu anche la militanza in serie A della Triestina, squadra che negli ultimi decenni ha militato spesso in B, ma non è mai riuscita a tornare nella massima serie. Tuttavia, dal 1929 al 1956, la presenza degli “alabardati” in serie A fu costante e caratterizzata da avvenimenti importanti. Furono ben tre i giocatori della Triestina – Piero Pasinati, Gino Colaussi e Bruno Chizzo – che con la maglia della nazionale divennero Campioni del Mondo nel ’38. Da segnalare, nella stagione 1939-40, la vittoria per 6-2 a Torino, contro la Juventus.
Per due volte i giuliani lottarono per il titolo. Una prima volta nel 1937-38, quando tre giornate dal termine, dopo aver superato la Juventus per 2-0, la Triestina si ritrovò terza in classifica ma a soli due punti dalla vetta.

La seconda volta che la Triestina lottò per il titolo, fu nel 1947-1948, durante la gestione di Nereo Rocco. Grazie ad alcuni stratagemmi difensivi innovativi per l’epoca, rafforzando la fase difensiva a scapito di quella offensiva e migliorando la stabilità tattica della squadra in campo introducendo un modulo tattico che sarebbe stato all’origine di quello cosiddetto “all’italiana”, con il libero staccato dietro la linea dei difensori, la squadra conquisterà il secondo posto, a pari merito con Juventus e Milan, dietro al grande Torino. A riprova della bontà difensiva dei correttivi tattici apportati da Rocco, durante quella stagione, la Triestina rimase imbattuta nelle partite interne, perdendo in trasferta solo in otto occasioni.

Un celebre tifoso della Triestina, fu il poeta Umberto Saba. Riportiamo di seguito una sua opinione sul gioco del calcio, indicativo di come si vivesse all’epoca questa passione, e, a seguire, una sua poesia dedicata sempre al calcio.

“E’ (il gioco) più popolare che ci sia oggi, ed è quello in cui si esprimono con più appassionata evidenza le passioni elementari della folla. L’atmosfera che si forma intorno a quegli undici fratelli che difendono la madre è il più delle volte così accesa da lasciare incancellabili impronte in chi ci è vissuto dentro. E questo per non parlare della bellezza visiva dello spettacolo, dei gesti necessari dei giocatori durante lo svolgimento della gara.
Che dire poi di quello che succede tra il pubblico e i giocatori quando una squadra paesana riesce a segnare un goal contro una squadra superiore (la cui superiorità molte volte è dovuta a denaro) e rinnova, sotto gli occhi dei concittadini, lucenti alle lacrime, il miracolo di Davide che vince il gigante Golia?”

Goal

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla – unita ebbrezza – par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasto sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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