Quell’angolino di Parigi

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Andiamoci pure noi, in quell’angolino di Parigi, dove una macchina passa a prenderci e ci porta indietro nel tempo. Andiamoci, davvero, perché potremmo vedere dal vivo le prime finali di FA Cup, la prima Coppa del Mondo, l’epoca in cui i calciatori erano uomini, parlavano col cuore e non solo con i piedi. 

Settimana santa, settimana ricca (anche) di sport. Checché se ne dica, per esempio, la pausa dedicata agli impegni internazionali è una maledizione per chi dal calcio è ossessionato, per chi ne è piacevolmente dipendente.

Settimana santa e allora, se è vero che anche le partite delle nazionali offrono spunti importanti, è doveroso ragionare su altri livelli.

La fantasia viaggia, durante la settimana della sosta. Viaggia perché l’appassionato ha proprio bisogno di calcio giocato, di calcio di club. Una volta sancito che l’Italia soffrendo è passata Malta, che rimane? Stabilito che l’Inghilterra di Hodgson non ha fatto un solo passo in avanti nell’ultimo anno e mezzo, qual è il divertimento? Certo, molta della storia – anche recente – del football viene dalla scena internazionale (oltremanica ricordano questo momento qui), anche nelle fasi di qualificazioni, però i campionati sono un’altra cosa.

Assodato che Inter-Juventus stimola a scrivere molto più di Francia-Spagna, almeno sentimentalmente, a una dimensione sentimentale si può arrivare lo stesso, magari giocando di fantasia: in questa settimana, l’occhio di chi scrive cade sull’edizione di qualche giorno fa di un giornale sportivo, ricco di interviste e aneddoti sul calcio che verrà, ma anche sull’edizione elettronica di un libro che il calcio lo affronta in maniera pressoché scientifica. E sul DVD di un film che col calcio ha molto poco a che fare, ma il cui regista (e autore) vive lo sport in maniera maniacale.

Vero, Woody Allen programma calendari e orari dei suoi set in base al calendario dei New York Knicks, la sua squadra preferita nella National Basketball Association (rallegrati, Woody, quest’anno gira bene), ma non è lì che voglio arrivare. Quel film che fa compagnia all’intervista di Adem Ljajić, sulla scrivania, narra la storia di uno scrittore fallito (?) che va in vacanza a Parigi con moglie e suoceri, invadenti quanto tendenti a giudicare. Non assomigliamo forse un po’ tutti al protagonista, così ossessionato e incompreso, nella sue passioni, nei suoi scrittori, nella sensazione di non appartenere alla nostra epoca?

Stretto e messo all’angolo dalla postmodernità, con lo sguardo rivolto indietro, alle varie Belle Époque che l’uomo e la cultura hanno vissuto: se sostituiamo Ernest Hemingway con Giuseppe Meazza, Gertrude Stein con l’epoca dei pionieri della tattica, noi siamo lui, in certi casi. Perché ci piacerebbe, oggi a mezzanotte, bere mezza bottiglia di rosso e aspettare lì, in quella piazzetta, che una macchina d’epoca ci passi a prendere. Che ci porti, invece che alle feste degli artisti parigini, alla White Horse Final (correva l’anno 1923), o ai successi azzurri degli Anni Trenta, o in stadi dove si registravano record di capienza oggi impensabili, a livello di norme ma anche sul piano sociale.

Non male, vero? Coi nostri abiti degli anni Duemila siamo certo imbarazzati, ma la smorfia di imbarazzo passa man mano che acquistiamo i match programme delle sfide di Inghilterra 1966, leggiamo sul Corriere della Sera che “Il Foot-ball è un giuoco al pallone, che si giuoca coi piedi. Delle due squadre che lo giocano ognuna cerca, a furia di spinte operate coi piedi colla testa, col petto, ma mai colle mani, di cacciare il pallone nel campo avversario e di riuscire a farlo passare sotto una specie di arco che la squadra avversaria deve difendere. Ogni volta che il pallone passa, non trattenuto, sotto questa specie di arco di trionfo, un punto è guadagnato per la squadra di giocatori che riuscì nell’intento“*.

Ci siamo messi il cappello, per confonderci con la folla, anche se a fine serata tornare nel nostro albergo parigino dell’epoca dei Kindle e dell’I-Pad un po’ è deprimente. Vero che in qualsiasi momento possiamo scoprire che il Nordsjaelland ha battuto l’Aarhus per 4-2, ma insomma a certe modernità almeno sotto gli effetti di un rosso da film di Woody Allen rinunciamo volentieri: camminiamo per le vie del centro e i giornali dicono che è l’8 Maggio del 1898. Di mattina, l’Internazionale Torino batte 1-0 il FC Torinese, mentre il Genoa si impone sulla Ginnastica Torino. Lo stesso pomeriggio, abbiamo fatto in tempo a chiacchierare con dei passanti circa la Piramide di Cambridge, o del J’accuse di Émile Zola uscito pochi mesi prima, eccoci a vedere la finale, un’atmosfera sana che dà la sensazione di respirare la storia a pieni polmoni.

Che poi, in verità, il ragazzo di Midnight in Paris lascia la fidanzata, per invaghirsi di una donna che dall’epoca d’oro della cultura parigina vuole a sua volta scappare. E dunque magari lì ai tempi della White Horse Final c’era qualche altro malato della storia, nostalgico del mai vissuto, ma giocare è stato divertente.

Suggestivo, interessante: la settimana della pausa poi passa, torna il campionato e tornano i campionati. C’è proprio tanto materiale: buona Pasqua, e lasciatevi pure quel capo d’abbigliamento che fa così Anni Venti, sognare non costa niente.

*N.B.: la citazione è tratta da Alessandro Bassi, Il football dei pionieri.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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