Coppa d’Africa 2013: l’analisi del Girone A

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Si è concluso il Girone A della Coppa d’Africa 2013 e non si può che etichettarlo con due aggettivi, spesso abusati, ma in questo caso veritieri: sorprendente e appassionante. Non si può chiamare diversamente un raggruppamento in cui la Cenerentola assoluta del torneo è passata al turno successivo e in cui, fino all’ultimo minuto delle ultime due gare, non si aveva la certezza di chi sarebbe arrivato tra i primi due. Scendendo nel dettaglio, andiamo a vedere come si sono comportate le promosse Sudafrica e Capo Verde, ma anche le rimandate Marocco e Angola.

 

SUDAFRICA. Voto: 6,5. Pazzi come il loro pubblico. Arrivano alla gara d’esordio della manifestazione che li vede come Paese ospitante e sfoderano una prestazione oscena, dando campo libero a Capo Verde. Il loro cannoniere è un difensore centrale. Fanno venire i capelli bianchi a mezzo stadio contro il Marocco. I loro sostenitori sono una maramaglia perennemente in festa, che brandisce assordanti trombette e che si veste come a Carnevale. Il mix vincente che ha permesso però ai sudafricani di rialzarsi vede la loro euforica follia ben amalgamata con una buona dose di umiltà. Igesund, per la partita contro l’Angola, ha rivoltato la squadra come un calzino, facendo sedere in panca giocatori come Tshabalala e Letsholonyane. La forza di saper ammettere i propri errori è stata l’arma segreta di questo Sudafrica, che, nelle ultime due gare, ha messo in campo un calcio veloce, ma di grande potere fisico, che univa finissimi tocchi a percussioni di sfondamento degne della cavalleria macedone. I Bafana Bafana si sono rimessi in riga e fanno paura.

 

CAPO VERDE. Voto: 7. Chi va piano, va sano e va lontano. LA sorpresa per eccellenza. Prima presenza in assoluto e girone tosto con due grandi del calcio africano e una Nazionale in grande ascesa, per alcuni, avrebbero voluto dire volo di ritorno prenotato per il 28 gennaio. Ebbene, questi non avevano fatto i conti con le due principali qualità di Capo Verde: caparbietà e costanza, essenziali per i buoni risultati acquisiti contro il Sudafrica, contro il Marocco e poi contro l’Angola. In queste gare, il ritmo non è mai stato elevato, ma la truppa di Antunes è sempre arrivata in porta e solo la mancanza di una migliore qualità sotto-porta ha fatto sì che non trovasse la qualificazione già nella seconda giornata. Avere saputo sfruttare al meglio ciò che aveva a disposizione, questo ha fatto il CT capoverdiano, come uno chef che ha saputo preparare un piatto gustoso, pur non avendo il frigorifero pieno. Due centrali rocciosi, Heldon a dettare le geometrie, uomini mai lasciati soli, un pizzico di fraseggio ed ecco fatto: buon appetito!

 

MAROCCO. Voto: 5,5. Una Ferrari con l’autolimitatore. Dispiace vedere I Leoni dell’Atlante fuori al primo turno, specialmente dopo aver ammirato due prestazioni di buon livello. La qualificazione è stata compromessa contro Capo Verde, partita rimessa in carreggiata all’ultimo, ma giocata più da Malawi, che da Marocco, senza idee e convinzione. “Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso”, dice un proverbio, ed è sicuramente tra i più saggi che si conoscano, ma fa male vedere una squadra che, nell’ultima gara, dà tutto in campo, venire lo stesso eliminata. Il CT Taoussi ha trovato la soluzione migliore troppo tardi, correndo i rischi di una partita giocata ai 100 all’ora, dopo due gare con il limitatore.

 

ANGOLA. Voto: 5. Antilopi contro Leoni e Squali…finale già scritto. Le Antilopi Nere, forse, si calano troppo nella parte: corrono tanto, ma non azzannano mai. La truppa di Ferrìn ha sofferto molto, specialmente in difesa: ha tenuto la porta inviolata solo contro il Marocco, peraltro con difficoltà. La pecca maggiore dell’Angola stava però nella mancanza di una tattica ben precisa: ogni volta che prendevano palla, davano l’idea di non sapere cosa fare con essa. Allora c’erano due opzioni: trovare Manucho e provare a dargliela, oppure tirare. Poco convincenti in ogni gara giocata, per poter dire qualcosa in futuro devono prendere esempio da Nazionali come Capo Verde: non serve atteggiarsi da Barcellona, a volte basta una ricetta più semplice.

 

 

Francesco Piacentini
Francesco Piacentini
Pavese classe '91, laureato in scienze politiche, per lui lo sport è uno specchio su cui si riflette la storia di un popolo. Stregato dal calcio inglese e greco, ama la politica, l'heavy metal e il whiskey.

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