Casa, dolce casa!

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Passata la festa si riparte. Per i comuni mortali si tratta di tornare al lavoro, pochi fortunati invece avranno il privilegio di partire per le vacanze, magari in qualche località sciistica per iniziare l’anno nuovo col piglio giusto. Ma dopo una due giorni di ravioli, salmone, agnello con patate, panettoni, torroni e un po’ di regali sotto l’albero, per quasi tutti è tempo di tornare alla routine, anche e soprattutto per i direttori sportivi di Serie A.

Il campionato è morto e sepolto, considerando che la macchina perfetta Juventus è riuscita a chiudere l’anno in bellezza, raddoppiando i punti di vantaggio sulle inseguitrici (si fa per dire…) nelle ultime due giornate. Restano da definire, però, molte altre gerarchie nel campionato nostrano, con tante pretendenti decise a entrare nell’Europa che conta, e altrettante aggrappate alla speranza di non tornare nella serie cadetta.

Non avremo il campionato qualitativamente migliore del panorama europeo ma, per il momento, accontentiamoci di questo grande equilibrio alle spalle della capolista: e se questo produce partite come Roma-Fiorentina, ben venga, ne abbiamo bisogno.

All’assalto dell’Europa calcistica partecipa anche il Milan, che dopo un inizio a dir poco stentato è riuscito a tornare prepotentemente in corsa per tre motivi: El Shaarawy, El Shaarawy ed El Shaarawy. L’esplosione del “Faraone” è il miglior regalo natalizio sotto l’albero di casa Galliani, comunque bravo a confermare la fiducia in Allegri anche quando i risultati non erano propriamente degni della tradizione rossonera: ma era evidente che le colpe di questa situazione non fossero del tecnico toscano, quanto piuttosto di un ambiente ancora scottato dalle partenze estive e dalla competitività perduta.

Non tutti, però, esultano in casa Milan. In particolare due giocatori, che in comune hanno tanto: attaccanti, brasiliani, nostalgici. Già, proprio così. Nostalgici. La terra madre ha rappresentato un passato glorioso per Pato e Robinho, e la sensazione è che anche il loro futuro sia tinto di verdeoro. A gennaio potrebbero non indossare più quella maglia rossonera, con la quale vinsero due anni fa uno scudetto meritato e sudato, anche grazie al “Papero”, che nel derby decisivo del girone di ritorno segnò il primo gol dopo neanche un minuto.

Sembra passata una vita, in realtà sono solo un paio di stagioni, anche se con poche, pochissime gioie sportive per i due “carioca” e con tanti, troppi stop di vario genere ed infortuni. Adesso, con Galliani in Brasile non certo per il veglione di fine d’anno, è sin troppo facile pronosticare una cessione che farebbe bene a tutti, soprattutto alla società, che col ricavato potrebbe finalmente acquistare il partner d’attacco ideale dell’italo-egiziano (Balotelli who?).

Ma sul fronte dei giocatori la situazione è ben diversa: Pato potrebbe terminare l’anno in Brasile, rilanciarsi prepotentemente a casa propria per poi decidere se restare in Sudamerica o tornare nel “calcio che conta”. Il Corinthians ha fiutato l’affare e si è già fatto avanti mettendo sul piatto non più di 15 milioni di euro: ora la palla passa a Pato, uno che di gol, nonostante tutto, se ne intende.

Discorso assai diverso, invece, per Robinho, l’altro brasiliano che con la maglia rossonera non ha mai convinto al 100%. Diventato famoso più per i gol sbagliati sotto porta che per i suoi dribbling, per l’ex Real Madrid è tempo di tornare a casa e con un biglietto di sola andata: infatti se per Pato il Brasile può essere una sistemazione temporanea, la sensazione è che per lui sia definitiva come il trasferimento del cartellino richiesto dal Santos, l’unico club che abbia formalizzato un’offerta per ‘Binho’, dopo il ritiro del Flamengo dalla corsa.

Ed infine la malinconia: non sono i primi, e non saranno nemmeno gli ultimi a soffrirne. La “saudade”, come dicono oltreoceano, è una ‘malattia’ che ha già fatto vittime illustri, soprattutto sulla tratta Milano-Brasile: per maggiori informazioni chiedere ad Adriano, un calciatore che nel momento di massima forma era in grado di dribblare tre o quattro avversari, prima di esplodere il suo potente sinistro alle spalle del portiere. Non bastava aggrapparsi e appendersi, lui era semplicemente più veloce, forte e potente. Hulk era un soprannome azzeccato, ma più si è grandi e grossi e più è grande il boato dopo la caduta, soprattutto se si perde le sfida decisiva – per lo più in casa – contro l’alcol.

Chissà che Pato e Robinho, una volta atterrati nella propria terra Natale, non si guardino negli occhi e ripetano, insieme, queste parole: “casa, dolce casa”.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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