Il football e come trattarlo, con o senza rispetto

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Anche se due fazioni non sono direttamente in contrapposizione, il lavoro dell’una può essere infangato dall’altra. Solitamente se quest’ultima è la più numerosa è anche quella che vince, alla lunga. Utilizzando come arma principale un qualunquismo aberrante.

La mia vita (o perlomeno quella pseudo-giornalistica) è stata così. Io amo lo sport americano, soprattutto il football, e qualche anno fa iniziai a scrivere su un sito internet italiano ad esso dedicato. In Italia non è facile per gli sport minori e non è che molti mi leggano vi confesso. Non importa, mi basta condividere con qualcuno questa grande passione.
Lavoro, a volte duramente tra un impegno di “lavoro vero” ed un altro, per produrre qualche pezzo che avvicini l’amante del football al Mondo di questo straordinario gioco.

Spesso quando tento di intavolare un discorso sullo sport della palla ovale però mi sento dentro una boccia di pesci rossi. La gente dubita delle mie parole, non riesce a capire cosa mi piaccia in quella massa di uomini che si scontrano pericolosamente su un prato. Non capisce, non vuole più che altro capire. Ma a me non interessa; al primo articolo che “bucai” clamorosamente il mio caporedattore mi mandò una mail infinita, spiegandomi perché dovevo essere più scrupoloso, perché dovevo verificare le mie fonti, perché non dovevo contraddire un mio collega.
Ora al suo posto, su quel sito, ci sono io. E se uno dei miei redattori sbagliasse come io feci quel giorno, lo riprenderei, insegnandogli che quando si parla a gente maldisposta devi essere diligente, preciso, corretto.

In questo articolo di Vittorio Zucconi, non emerge nulla di tutto ciò. Egli definisce Jovan Belcher “centrotrè chili di nulla”, gli dà del drogato, dell’approfittatore. Ne dà un ritratto piatto, intenzionalmente una connotazione negativa. Il che andrebbe anche bene visto che Jovan Belcher è un omicida-suicida, uno che un sabato mattina si è alzato, ha ucciso la moglie e poi si è recato allo stadio della sua squadra per farla finita davanti ai suoi allenatori.

Cio che non va bene è che Zucconi descrive il mio sport preferito come lo farebbe uno di quei miei amici che quando sentono la parola “football” si rintanano dietro un disinteresse spocchioso. Egli crede che Belcher fosse un patito di steroidi quando in NFL si è continuamente controllati ed il giocatore era pulito. Egli crede che nel football ci si possa affermare solo a causa degli infortuni altrui, crede che due milioni per un anno sia un contratto faraonico, quando non c’è nulla di garantito finito quell’anno.
Il sessantottenne giornalista, in pratica, è dall’altra parte della barricata, tira la fune dal capo opposto al mio, infanga il mio lavoro.

E questo è difficile da comprendere, visto che egli ha vissuto negli Stati Uniti molti anni, ha all’attivo una valanga di libri molto letti ed è uno dei giornalisti piu esperti in Italia. Dovrebbe sapere che scrivere senza informarsi è un boomerang che torna indietro sempre, che danneggia anche il lettore dandogli una percezione errata delle cose.
Il lettore pensa che Jovan Belcher sia solo un drogato, arrivista e imborghesito, talmente vuoto da sparare alla sua amata e togliersi la vita nonostante una bambina di tre mesi che lo ha come padre. Il linebacker dei Kansas City Chiefs (“pessimi” come dice Zucconi il quale non sa nemmeno che il giorno dopo la tragedia la squadra non solo avrebbe giocato ma anche vinto) è l’ennesima vittima delle troppe commozioni cerebrali non trattate nel football, fronte su cui la NFL che egli schernisce e insulta si sta adoperando per rasserenare.

Non interpretate le mie parole come l’assoluzione di un assassino. Sto solo cercando di difendere la mia parte, quella che coltivo da anni, quella che picconate come quella di Zucconi sulle pagine de “La Repubblica” scalfiscono, allontanano dalla massa. Sono sicuro che in carriera abbia imparato anche troppo bene ad essere diligente, preciso, corretto. Il fatto è che costui lo ascoltano anche quando non lo è.

E anche se le nostre due fazioni non sono direttamente in contrapposizione, egli ha infangato il mio lavoro con il suo, vi assicuro molto meglio remunerato.

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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