Hai scritto t’amo sulla rabbia

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Eppure eri lì.
Lì, senza maglietta, incurante della pioggia battente. Lì, di fianco alla bandierina, all’incrocio tra il settore verde e quello rosso dello stadio, il tuo stadio. Un San Siro con ottantamila persone unite in un unico urlo, il tuo urlo.
L’urlo del Boa.

Era il 28 Febbraio 2011, sera di Milan-Napoli, sfida decisiva, e probabilmente simbolo, dello Scudetto. Eri entrato per giocare gli ultimi trenta minuti. Avevi gli occhi affamati. Te ne sono bastati quattordici, di minuti, per spaccare in due difesa avversaria e partita. Poi l’urlo, quell’urlo, la tua rabbia contenuta a fatica dall’abbraccio di Ibrahimovic. Facevi paura. Agli avversari, ai compagni, ai tifosi. A tutti.

Eri stato il vero “fattore sorpresa” del Campionato 2010/2011. Eri arrivato in estate quasi in punta di piedi, sballottato tra Portsmouth, Genova e Milano, passando per i Mondiali in Sud Africa. La tua “testa calda” e la tua anarchia tattica ti avevano fatto faticare per trovare la giusta collocazione in squadra, fino a quando ad Allegri era venuta in mente l’idea malsana di metterti dietro le due punte.
Devastante. Non ci sono altri termini per definire il tuo rendimento in campo. Il modo in cui aggredivi gli spazi aperti dal tuo amico Ibra, la tenacia con cui davi una mano al centrocampo, la potenza con cui sradicavi il pallone dai piedi degli avversari. Eri il nuovo idolo del tifo rossonero. Eri affamato di vittorie, assetato di calcio. Eri Kevin-Prince Boateng.

Eppure eri lì.
Il momento esatto in cui ti abbiamo perso di vista non saprei dirtelo. Non riesco a trovare nelle memoria il punto preciso da cui non sei più stato tu. E’ sicuramente successo durante la scorsa stagione, quella del Campionato 2011/2012. La stagione in cui, tra Serie A e Coppe, hai totalizzato la miseria di ventisette presenze. Ventisette. Non che tu, nell’arco della tua carriera, abbia mai dato sfoggio di grande resistenza agli acciacchi, ma la tua assenza s’è fatta sentire. Tra infortuni e ricerca della forma ottimale, siamo riusciti a vedere il vero Boa, quello affamato, quello rabbioso, forse tre o quattro volte. Contro il Bate, a Lecce, negli ottavi contro l’Arsenal e nel girone di Champions contro il Barcellona a Milano.
Ecco, forse è stato quel gol incredibile, e che solo un pazzo come te avrebbe anche solo potuto pensare di segnare, a rovinarti. Quel gol con stop acrobatico, controllo di tacco e tiro potente a bucare Valdes ti ha rubato al pubblico di San Siro, agli occhi dei tuoi tifosi e a quelli degli appassionati di calcio.

Eppure eri lì.
Ma ti sei imborghesito, quasi inleziosito. Le cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva e la maglia numero 10 lasciata libera da Seedorf hanno fatto il resto. Ti sei convinto di essere quel tipo di giocatore che non sei. Il fantasista capace di cambiare le partite con un’invenzione, con un assist delicato, con un gol eccezionale. Il top player su cui far girare tutta una squadra e capace, da solo, di indirizzare una sfida.
Tu non sei così. Tu hai la capacità di abbattere le difese nemiche, di saccheggiare i piedi rivali, di entrare come lama nel burro nelle aree avversarie. Ma hai perso ciò che ti faceva dominare i campi di calcio. Ti sei piaciuto e compiaciuto oltremodo. Ti sei guardato troppo allo specchio e hai finito per non vederti più.

Dov’è il tuo sguardo? Dov’è l’urlo del Boa? Dov’è finita la tua rabbia?
Dove sei, Kevin?
Eppure sei qui.

Francesco Mariani
Francesco Mariani
Twitter addicted, vive di calcio. In campo è convinto di essere Pirlo, ma in realtà è un Carrozzieri qualunque. Per lui il trequartista è una questione di principio.

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