In pausa ci vadano le lamentele

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Mazzarri se ne è lamentato. Oddio, vabbè, non è che questa sia una motivazione valida per prendersi a cuore il problema, perché l’allenatore del Napoli si lamenta del caldo, del freddo e anche del tiepido. E chi scrive non prova disistima per l’ex vice di Ulivieri, anzi, tutt’altro. Al netto del caratteraccio, ritengo che si sia dimostrato un signor allenatore.

Poi, appunto, il caratteraccio e la sparata: i campionati si fermano, gli allenatori si lamentano, il tutto per via della pausa obbligata. Forse i tifosi sono contenti, invece — perché lo sport va avanti con le nazionali, e perché in ogni caso c’è una settimana per rifiatare, una volta tanto. Chi non vive il tifo come un lavoro, in ogni caso ne paga la fatica, oltre alle soddisfazioni (si spera).

Parto quindi da un assunto facile: della pausa si lamentano tantissimo presidenti e allenatori, molto di meno i giocatori. Facile capirne i motivi degli uni e degli altri: i primi temono gli infortuni (che li priverebbero di un capitale per una causa che, economicamente, non sentono), i secondi anche perché le nazionali spezzano il ritmo che impongono alla squadra, e costringono i loro atleti a viaggi transoceanici che comportano qualche giorno di riassestamento.

Difficile trovare difetti logici in ragionamenti del genere, a dirla tutta. I presidenti spendono, e non vogliono rischiare ulteriormente (a maggior ragione se giochi contro San Marino, con tutto il rispetto); gli allenatori sanno che i loro risultati dipendono da chi va in campo, e che rischiano sempre di pagare con il licenziamento. Insomma: è tutta una politica di minimizzazione del rischio, con chi paga e chi dirige che si trovano perfettamente d’accordo.

Ma è proprio sicuro che la pausa venga per nuocere, o perlomeno che il danno consista nel non poter lavorare sui difetti della squadra? Perché, mi pare evidente, è un non-argomento. Vogliamo credere che, se non ci fosse stata la pausa, per tutta la settimana le squadre di fascia alta (quelle che dànno in giro più giocatori: la Juventus 16, il Napoli 13, per esempio) si sarebbero dovute concentrare solo sul campionato? Come se non ci fossero le coppe europee da preparare, per dire.

Insomma, certe cose non le capisco. Se Bradley dovesse giocare una gran partita contro la Russia, Zeman dovrebbe esserne contento o meno — e, soprattutto, cosa dovrebbe pensare Baldini? Dopotutto, le quotazioni di Bradley potrebbero alzarsi. Perché è anche di questo che si parla: di nazionali. Dopo un grande Europeo o Mondiale, i presidenti gongolano all’idea di cedere il proprio gioiello per cifre sempre più importanti. In quel caso, quindi, rischiare un proprio giocatore vale la pena. Vero: non si gioca contro il Liechtenstein.

Le proposte alternative alla pausa, peraltro, non mi convincono. Un po’ perché non sono proprie del calcio, un altro po’ perché finirebbero per ghettizzare le attività delle nazionali; e parliamo da un paese che, malgrado le richieste del proprio Commissario tecnico, lo scorso anno non ha effettuato stage di preparazione agli Europei; e malgrado questo ci è andata così bene che siamo comunque arrivati secondi (non sarà sempre così, mettiamocelo in testa). Sono passati pochi mesi, e già non ce ne ricordiamo più.

Sono da sempre appassionato di pallacanestro, per esempio; e non mi piace molto l’idea delle qualificazioni effettuate tutte in estate. Vero che c’è più tempo per lavorare continuativamente su un gruppo; ma non c’è il modo, per esempio, di premiare qualcuno con una convocazione ad hoc grazie a un periodo di forma particolarmente efficace. In altre parole: concentrare l’attività delle nazionali significherebbe anche eliminare l’incentivo a guadagnarsi una “prova” che diventerebbe una motivazione ulteriore a migliorarsi. In parole povere: si lavorerebbe quasi solo su giocatori e progetti già sicuri e preconfezionati.

E poi, detto sinceramente, siamo sicuri che il calcio fatto dai club non ne approfitterebbe per ampliare ulteriormente la propria esposizione? Nel giro di un paio di anni, prevedibilmente, finiremmo per scoprire che togliere quelle 3-4 settimane in mezzo alla stagione non avrebbe affatto accorciato la durata dei campionati (cosa che non interessa a nessuno: né ai presidenti che pagano i calciatori, né alle televisioni che pagano le società), rendendo problematico lo spazio dedicato all’orgoglio unitario dei vari paesi.

E le dietrologie e le lamentele sarebbero lungi dallo sparire, anzi. Un po’ come la sosta invernale: dieci anni fa tutti strepitavano perché andava creata, altrimenti i nostri giocatori avrebbero rischiato i legamenti sui campi ghiacciati; ora si strepita perché va abolita, è inutile, toglie spettatori nel periodo delle vacanze di Natale e Capodanno, e così via.

Lasciamo tutto com’è, vi prego. Le lamentele si prendano una pausa.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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