Da piccolo farò il calciatore

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Qualcuno, che io reputo saggio, ha affermato che non sei più ragazzo quando inizia a giocare il primo calciatore più giovane di te.

Ricordo perfettamente chi, in questo senso, mi svezzò: lo scugnizzo di Bari Vecchia, quel fenomeno di magia e insania di Antò’ Cassano.
Lui è nato nel luglio dell’82, due giorni dopo la vittoria azzurra ai Mondiali in Spagna, come molti sanno.
Io due anni e due mesi prima, maggio ’80, come quasi nessuno sa, al di là dei lettori di queste pagine che possono rintracciare il mio dimenticabile genetliaco spostando lo sguardo di poco a destra sullo schermo.
Certo, in quei due anni e due mesi ne saranno nati molti, di giocatori. Nel periodo che separa la mia venuta al mondo da quella di Cassano, dico.
Ma il primo a sfondare in modo definitivo, il primo fuoriclasse di quel frangente fu il magnifico pazzoide che seminò il panico della difesa dell’Inter a neanche diciassette anni.
Fu lui. Fu lui a farmi crescere: ripeto, non sei più giovane quando capisci che non farai più in tempo a diventare calciatore.
Se un teppista più piccolo, ricoperto di brufoli e talento sta già in A a umiliare formazioni di rango, mentre tu i tuoi pensieri vanno alla facoltà universitaria cui iscriversi, beh, significherà qualcosa.
Insomma, nonostante i tanti gol ai tornei scolastici, e un colpo di testa tra i più temuti nei memorial di quartiere, presi a comprendere che la mia strada sarebbe stata diversa.
Poi iniziò il diluvio, non grigio come quello democratico in odio a D’Annunzio, ma colorato come quello dei nuovi campioni in giro per la serie A. Neanche troppi, per la verità.
Ma tutti con una caratteristica comune: più giovani di me.
Dunque meglio buttarsi su altro, università, giornali, letteratura.
Appendo reali scarpette ad immaginario chiodo; ma il pensiero ad un futuro calcistico è sempre là.
Nelle vesti, stavolta, di un’altra malia: quella di diventare allenatore.
‘Tanto’, mi dico, ‘per diventare tecnico non serve neanche essere stato calciatore: guarda Sacchi, guarda Maifredi (questo addirittura faceva il piazzista, l’omino delle televendite, ndr)’.
Continuando, tuttavia, a non fare nulla per questa carriera.
Perchè il problema non è cimentarsi. No, è avere come un asterisco addosso che ti ricorda che avresti voluto, davvero, stare da protagonista nel mondo del calcio.
Un puntino illogico, delirante, ma comunque, in linea teorica, percorribile. Quello del calcio.
Poi vengono fuori, addirittura, per somma beffa, allenatori che quando tu eri piccolo facevano i calciatori: Ancelotti, Donadoni, Mancini, e poi Montella, Mihajlovic, Casiraghi. Ce ne sono a bizzeffe, inutile elencarli tutti. Tralascio Conte apposta, tra il rispetto e il sarcasmo.
Quando facevo le figurine i ‘tennici’, di benniana memoria, erano figure tutt’altro che smaglianti. I vari Nevio Scala, Rino Marchesi, Albertino Bigon e poi il mitico Mazzone, e Bersellini, un pacioccone che rideva sempre, lo sdentato Bagnoli e Galeone il tenebroso. Si, alla loro epoca saranno stati onesti giocatori di serie minori o squadrette, ma chi li ricordava? Per te erano simpatici provinciali alla ribalta, degli zii di campagna alle prese con un mucchio di ragazzi cui trasmettere prima l’arte di stare al mondo che su un campo di calcio.
Ora, invece, a parte qualche eccezione di stanza a Parigi, sono fisicamente uguali ai giocatori che allenano. Si distinguono a stento, magari perchè urlano un pò di più – ogni riferimento è tutto tranne che casuale.
Ma, soprattutto, con quella loro eterna gioventù ricordano a te che stai davvero invecchiando. Se fossero come Zeman, o Reja, degli arzilli sessantenni insomma, pure potresti illuderti di essere ancora un giovincello con ‘tutto ancora intero’, specie la via che porta al terreno di gioco. Ma così come si fa?
Ho visto gli highlights di Chievo Sampdoria, sabato. E in panchina mi ritrovo da una parte Eugenio Corini, dall’altra Ciro Ferrara. Due che hanno giocato nella mia squadra, il Napoli. Insieme, per giunta.
E sembravano ancora in grado di scendere in campo e risolvere la gara. Mentre io ora posso al massimo commentare le loro gesta, chissà se efficacemente, e qualche volta trovare un editore che quei commenti ha il coraggio di pubblicarli.
Appena uscirà fuori un allenatore più giovane di me (Stramaccioni ce l’ha quasi fatta) la mia utopia, con gli album di ‘figu’ e le punizioni mimate alla maniera di Del Piero, il rigore con saltello come Van Basten, ecco, tutto questo andrà definitivamente in pensione. Ma prima di allora, e guardo soprattutto verso Palermo, sono a disposizione.
Giovanni Chianelli
Giovanni Chianelli
Nasce a Napoli nel maggio '80. Ha fatto di tutto per evitare il giornalismo fallendo, ha collaborato per anni con Repubblica Napoli e Agoravox. Attualmente sbarca il lunario con l'editoria artistica.

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Sfrontato, vincente, preparato, antipatico, fascinoso, linguacciuto... Su di lui sono stati spesi fiumi di inchiostro perchè non è un allenatore come gli altri. Forse...
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