La storia infinita di Zeman

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E così, inesorabilmente, si avvicina il momento del ritorno di Zeman a Torino. Sempre da avversario, naturalmente. E che avversario.

L’allenatore più amato e odiato d’Italia: manicheo, prende posizione quando sente di doverlo fare, e lo fa senza reticenze. Come il suo calcio: all’attacco senza compromessi. Come la sua preparazione atletica: durissima, senza eccezioni. Nel bene e nel male, in tutto: a partire dall’indubbio spettacolo che però ha per figlie le partite perse in modo rocambolesco (l’ultima contro il Bologna).

Zeman è così: o lo ami o lo odi. Costringe anche i tifosi a prendere posizione. Spacca: per i suoi tifosi, spacca e basta; per i suoi avversari spacca qualcosa (ci siamo capiti). È così che si è fatto molti amici e molti nemici. Con il coraggio delle proprie idee — giuste o sbagliate che siano; utopiche come il suo calcio.

Abbiamo avuto un antipasto di quello che ci aspetta già in Roma-Sampdoria, con degli scambi di veleni incrociati prima della partita, e un’evidenza post-partita non esaltante: i due contendenti, Ciro Ferrara e Zdeněk Zeman, che alla fine evitano apertamente di salutarsi, e poi su Sky si rimpallano a vicenda la mancanza: tocca al più giovane, dice l’anziano, tocca all’ospitante, dice l’ospite. Il nostro caporedattore Vito Coppola mi ha fatto notare: A Torino ci sarà una regola? L’indifferenza è la migliore proponibile?

Probabilmente non è neanche possibile rispondere: troppi, e troppo diversi, gli interessi in gioco. E troppo esasperata una situazione che si trascina avanti da anni — senza trovare una soluzione definitiva, perché quando si parli di tifo, a prescindere, ogni raziocinio viene spazzato via dalla passione. È come corteggiare qualcuno: magari c’è una strategia, ma è piegata ad uno scopo anche troppo preciso. E lo scopo del tifoso è quello di difendere il proprio campanile, sempre e comunque. Perlomeno, così funziona a queste latitudini.

Come quando, in politica, due persone di opposti schieramenti commettono un errore consimile (è successo, succede e succederà ancora): il nostro non lo sapeva, non ha fatto apposta, è stato consigliato male; il “loro” è prevenuto, amico dei poteri forti, indifferente a tutti, e così via. È una visione (manichea anche questa) che comporta automaticamente un innalzamento dei toni, e di conseguenza un totale svuotamento di contenuti: non ci si confronta più su un problema concreto (in italiano moderno una issue), ma su uno scontro preconcetto i cui ruoli sono già assegnati.

Mettiamola così: Zeman sa fin troppo bene come funzionano certe cose a livello mediatico, essendone stato in parte fautore e in parte vittima. Ed è perfettamente legittimo, in tutto ciò, che sia e rimanga convinto delle proprie opinioni. Ma se vuole davvero dimostrare di essere fuori da quei maneggi, quei giochi sottobanco e quelle pastette che nulla hanno a che fare con lo sport, si dimostri ancora più sportivo di tutti: faccia il suo come se niente fosse accaduto.

Magari gli diranno che l’ha fatto per provocare — ma nel frattempo l’avrà fatto. Facile prenderci uno schiaffo, lo so, ma è un rischio che andrà corso, prima o poi. Anche perché l’impressione, così, è che si siano sprecati tutti questi anni: se siamo ancora fermi all’incomunicabilità più completa, va da sé, è del tutto inutile ogni commento.

Il fatto è che ci avviciniamo a uno Juventus-Roma che, giocoforza, ha più di un precedente: una Juventus senza Conte (e con Carrera nei guai per questioni extracalcistiche), più il boemo che torna in Serie A guidando la squadra che guidava ai tempi delle denunce più pesanti. Ma i valori dovrebbero vedersi in campo: una dialettica forte è un ottimo modo per mettere pressione ai propri giocatori e agli avversari, cercando di spremere il meglio dai nostri e di mettere in soggezione psicologica gli altri; ma poi dovrebbe finire lì. Certi strascichi decennali non fanno bene al calcio, e neanche al fegato. Che per Zeman sia un battesimo di fuoco allo Juventus Stadium, e che sia uno Juventus-Roma 4-4 spettacolare. E che finisca con una stretta di mano.

Poscritto. Come potete vedere, da ieri sul nostro sito campeggia una nuova testata. Debbo, a nome di tutta la redazione, un ringraziamento a Michael Paci. Che a breve potrebbe darci anche qualche altra novità: restate con noi.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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