Hillsborough: dopo 23 anni finalmente giustizia

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Con le nuove prove fatte emergere dall’Hillsborough report, è il caso che io, da primo ministro, chieda davvero scusa alle famiglie dei 96 … Da parte del governo, e in realtà da parte di tutto il nostro paese, dispiace profondamente che questa doppia ingiustizia sia rimasta impunita per così tanto tempo“. Profonde le parole del primo ministro britannico David Cameron, che ieri, in riferimento a quanto emerso dai lavori della commissione indipendentente sui fatti di Sheffield del 1989, ha comunicato quel senso di disgusto, angoscia e indignazione che accomuna, in questi giorni, la Gran Bretagna tutta. Non solo quella sportiva. Perché sui fatti dello stadio Hillsborough, dove il 15 Aprile 1989, in occasione della semifinale di FA Cup fra Liverpool e Nottingham Forest, persero la vita ben 96 supporter dei Reds, in una delle più grandi tragedie in tempo di pace della storia del Novecento, giustizia e verità hanno avuto bisogno di troppo tempo per venir fuori. 

Per oltre due decenni, molte delle verità su cause e concause di quel disgraziato pomeriggio sono state omesse, nascoste o dipinte con contorni che male la inquadravano, per la pena soprattutto delle famiglie dei caduti, costrette spesso e volentieri a subire le (ingiuste) accuse ai propri cari. Una doppia beffa, perché di suo non si dovrebbe morire a una partita di pallone e perché, in fin dei conti, in pace come in guerra spesso la prima vittima è la verità.

Erano gli anni in cui, per i postumi del dramma dell’Heysel, le squadre inglesi in Europa non potevano andarci. Durante il ban da Coppa Campioni, Uefa e Coppa Coppe, tifosi e club s’erano abituati a dare alle coppe nazionali ancora più peso del solito, unica opportunità per i capitani di alzare al cielo dei trofei.

Contrariamente a quanto accade oggi (ora si va a Wembley anche per le semifinali), negli anni Ottanta le semifinali di Coppa d’Inghilterra di giocavano in campo neutro. Quell’anno lì, una sfida molto suggestiva pose due fra le squadre più prestigiose una di fronte all’altra: da un lato il Forest reso celebre dall’epopea continentale del 1979 e del 1980, dall’altra il Liverpool, il cui nome in sé bastava a garantire trofei e spettacolo. Perplessità furono sollevate per l’efficienza organizzativa dell’evento: lo stadio di Hillsborough, solitamente casa dello Sheffield Wednesday, fu diviso riservando il settore più capiente (la Spion Kop End) alla tifoseria meno numerosa, quella del Forest. Ai prevedibilmente numerosi sostenitori del Liverpool spettò la meno grande Leppings Lane, area vicina alla tribuna centrale che coi suoi soli 6 punti d’accesso finì per far procedere a rilento le operazioni di ingresso.

A pochi minuti dall’inizio della semifinale, la polizia, inopinatamente, decise di aprire il Gate C, un grosso cancello che conduceva a un tunnel comunicante con gli ingressi laterali. Mai scelta si rivelò più catastrofica: in poco tempo, le persone si accalcarono in uno spicchio di tribuna che al massimo poteva reggere duemila uomini. Fra effetto imbuto, spettatori che cercavano una via di fuga nel rettangolo di gioco e asfissia, il conto fu tremendo: 96 morti e 766 feriti. Per quanto il “rapporto Taylor”, commissionato dal governo di Sua Maestà nel 1990, avesse messo in luce difetti organizzativi e strutturali delle operazioni di soccorso, le famiglie delle vittime sono state tenute lontane dalla verità per due decenni, con anche diversi organi di stampa (in primis il Sun,che ieri ha chiesto ufficialmente scusa) lì a dare la colpa ai tifosi del Liverpool, secondo alcuni responsabili della tragedia perché ubriachi, senza biglietto e violenti in quei terribili frangenti.

Ieri, a 23 anni dalla tragedia e a premiare lo sforzo della comunità di Liverpool, della tifoseria, dell’ex manager Kenny Dalglish – che in prima persona s’era sempre speso perché su quanto accaduto fosse fatta chiarezza – è arrivata la pubblicazione dell’esito dei lavori. Nel documento (facilmente reperibile nel sito ufficiale della commissione) si specifica, al netto di un lavoro massiccio di ricerca in archivio su documentazione, rapporti e testimonianze, che almeno 41 delle 96 vittime si sarebbero potute salvare, che le operazioni di evacuazione e soccorso furono tutto tranne che efficaci e tempestive, che in sostanza gli organi di polizia hanno per anni confutato le prove per sfuggire alle proprie responsabilità. 

Considerato in Inghilterra uno dei fatti più tragici dal dopoguerra in poi, il ricordo di quel triste giorno del 1989 ha sempre rappresentato un punto di raccordo, rispetto e solidarietà anche fra tifoserie più rivali e le rivelazioni di ieri, in attesa delle conseguenze su coloro che effettivamente si sono scoperti essere i responsabili, rendono almeno in parte giustizia in un mondo spesso troppo indaffarato per pensare a chi non c’è più. E le parole più vere le ha forse trovate su Twitter il calciatore del Marsiglia Joey Barton (nativo di Liverpool): “mi sono seduto, da solo, a leggere il report e ho pianto. Non capisco come si possa fare una cosa simile a così tanti innocenti.È sbagliato su così tanti livelli”. Ciò che realmente ora tutto il mondo pensa.

 

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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