Prandelli, cinque giorni dopo

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Lo so che gli Europei sono finiti domenica, lo so: e a caldo ho scritto anche parole piuttosto equilibrate. Ma adesso mi piacerebbe scaternami, liberarmi di qualche pesuccio di troppo. E non sono pesucci contro Prandelli, ma a suo favore. Perché può avere sbagliato la formazione della finale, può avere sbagliato alcune convocazioni, può avere sbagliato a non gestire bene gli infortuni e gli acciacchi, o a non far giocare tutti, o a cambiare Montolivo con Thiago Motta, o a non aver dato spazio a Nocerino, o ci siamo capiti. A dirla tutta, voglio liberarmi di un peso soltanto. Perché ad avere sbagliato più del nostro CT sono stati tutti quelli che si sono messi di traverso all’idea degli stage durante la stagione regolare del campionato. Non è la panacea di tutti i mali, chiaro; ma una manella l’avrebbe pure data.

Prima di ribadire il concetto, però, ci sta un rimbrotto ai tifosi che dopo sanno già come andava gestita prima: verissimo che la formazione della finale era probabilmente sbagliata, e che le sostituzioni non hanno convinto; ma è anche vero che la sensazione è che la Spagna ne avesse molto di più. Noi ci siamo aggrappàti alla finale lottando, sudando, imprecando anche: in ogni caso, spendendo fior di energie fisiche (che erano poche in partenza) e nervose. Siamo arrivati in finale scarichi: tutti. Prandelli ha sbagliato la formazione per la finale, ma ci ha pur sempre portato a giocarcela, quella stessa finale.

Nessuno, ancora, ha trovato un antidoto al tiqui taca spagnolo: un gioco fatto di possesso-palla e difesa forte (frutto di quello stesso possesso: se la palla ce l’hai tu, non ce l’hanno gli avversari); un gioco cinico di attesa del varco giusto, del momento di sbandamento, di un errore, o anche solo di una botta di fortuna. Le partite della Spagna partono, paradossalmente, con loro in vantaggio per zero a zero.

Noi, come tutti gli altri, partiamo pari a reti (ancora) inviolate. E abbiamo dimostrato di faticare oltremodo, in attacco — e, giusto per gradire, dobbiamo ringraziare Prandelli per come ha gestito SuperMario: perché Balotelli partiva titolare, è stato un po’ “punito” con la panchina iniziale contro l’Irlanda, poi è esploso. E ha messo in difficoltà la difesa inglese, e ha bucato due volte quella tedesca. La domanda è: dove saremmo potuti arrivare, se questo gruppo si fosse conosciuto meglio? Se avesse giocato più tempo insieme, senza doversi reinventare a ogni partita?

Tifosi, fatevi sentire: la Nazionale vi ha riuniti sotto un’unica bandiera, e forse non è il caso di comportarsi da banderuola. I Prandelli Boyz vi hanno allietati per tre settimane, non dimenticatevelo. Fatevi sentire: premete sulle società e sulla Lega e sulla Federazione: non possiamo permetterci 20 squadre in Serie A e una squadra nazionale che non si allena mai assieme. Anche così i giocatori imparano a conoscersi a memoria. Perché ci siamo guadagnati la finale con il furore agonistico, ma non è bastato contro degli schemi che sono gli stessi da almeno sei anni. I nostri sono improvvisati da sempre. Se vogliamo che la Nazionale cambi il calcio, dobbiamo cominciare a cambiare le nostre abitudini.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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