Prossima fermata: Leopoldstraße, Monaco di Baviera

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Sono passati circa due anni. Anzi, qualcosina in più. Il 22 maggio 2010, la sera in cui l’Inter di Mourinho sconfisse i tedeschi del Bayern Monaco conquistando così il Triplete, mi trovavo a Monaco di Baviera. Ci vivo, dopotutto. Avevo prenotato per me e un gruppo di amici un tavolo in un bar nella strada con la night life più movimentata di Monaco, la Leopoldstraße. Mi ricordo ancora, da interista, la serata: ero l’unico vero tifoso dei nerazzurri in un bar stracolmo di tedeschi in maglia bianco rossa. Gli unici miei compagni di avventura erano un tifoso inglese, mio amico, e un tedesco tifoso del Monaco 1860 pronto a sfidare tutto e tutti per vedere sconfitti i suoi eterni rivali. Al secondo gol di Milito siamo saltati tutti e tre in piedi, ci siamo abbracciati e, urlando a più non posso, abbiamo festeggiato. Intorno a noi? Silenzio. A fine partita, però, si sono ripresi, mi sono venuti a stringere la mano a decine e la Leopoldstraße era una strada di festa, i tedeschi festeggiavano comunque… perché ogni occasione è buona per festeggiare.

Circa un mese dopo mi sono ritrovato in una situazione simile: bar prenotato per gli amici sempre nella Leopoldstraße. L’occasione? Germania – Spagna, semifinale del Mondiale sudafricano. La storia la conoscete tutti, Puyol svetta in aria e insacca, Germania battuta nuovamente in semifinale e sogno tedesco, alimentato dalle goleade contro Argentina e Inghilterra, distrutto. Io, vivendo qui da dieci anni, simpatizzavo Germania e quindi ero deluso dal risultato… anche io ci credevo. I tedeschi però mi hanno sorpreso ancora una volta, la Leopoldstraße venne invasa nuovamente, i tamburi scandivano il ritmo di festa, i cori si inalzavano alti. Perché ogni occasione è buona per festeggiare.

L’altra sera, per la terza volta, mi sono ritrovato in un bar con altri amici… sempre nella Leopoldstraße. Sono arrivato con tre ore d’anticipo, questa volta non avevo prenotato e non volevo perdermi i posti migliori. Appena arrivato nel bar al aperto il mio occhio è subito cascato sui miei connazionali: erano arrivati presto, si erano presi un tavolo e lo avevano rivestito di tricolori e bandiere italiane. Essendo con amici tedeschi non potevo invadere il territorio ben difeso dai miei connazionali, nonostante fossi forte della mia sciarpa azzurra al collo. Mi sono comunque assicurato un posto il più vicino possibile ai miei prodi compagni d’avventura. E poi… poi la partita. Non ve la racconto, la conoscente. Mario, SuperMario Balotelli. Quel destro mostruoso a trafiggere il gigante tedesco Neuer. Tanto, tantissimo cuore. A fine primo tempo, con un sorriso a trentasei denti, ho provato a consolare un amico tedesco che si era fatto un viaggio degno di nota per vedere la partita nella Leopoldstraße. Gli ho ricordato le altre occasioni, gli ho detto che la festa ci sarebbe stata comunque: mi ha corretto. Questa volta no, nessuna festa. Perché loro questa volta ci credevano davvero, loro, questa volta, erano sicuri di batterci. Ed è qui che entra in gioco il cuore dei nostri ragazzi, perché se la vittoria porta onore, la vittoria quando si parte sfavoriti ne porta ancora di più.

Vi ammetto la mia delusone quando la partita è finita, non ci sarebbe stata festa. Avrei festeggiato, certo, ma da solo. I tedeschi hanno svuotato i bar senza emettere suoni, frastornati dalla marea azzurra che li aveva travolti. La strada, a pochi metri da me, era, rispetto alle precedenti sconfitte da me vissute in terra tedesca, di un silenzio tombale. Si sono defilati, la sconfitta di ieri era troppo anche per loro, non si poteva festeggiare. Sono rimasto a parlare per qualche minuto con i miei amici, seduti in torno al tavolo, loro con le lacrime agli occhi e io ancora stordito dalla nostra impresa. Poi è iniziato tutto. Clacson. Sgasate di motorini. Urla. Cori da stadio. Alziamo gli occhi e lì vediamo, lì sono gli italiani di Monaco di Baviera. Una coda interminabile, una festa per tutti quelli, tra noi, che si erano dovuti sorbire battutine dei media, dai colleghi di lavoro e dagli amici. L’altra sera, però, è arrivata la liberazione. E ci siamo fatti sentire! La Leopoldstraße è diventatata, per una notte, nostra.

Perché ogni occasione è buona per festeggiare, soprattutto se tifi Italia.

P.S. A Monaco ieri c’erano trenta gradi. La mia sciarpa al collo, però, è rimasta ben salda.

Leonardo Peruzzi
Leonardo Peruzzi
Dal 2002 vive a Monaco di Baviera, dove studia Americanistica e lavora per una compagnia di statistiche sportive, così può seguire i tornei giovanili e coltivare la sua passione più grande: individuare nuovi talenti.

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