Hodgson, il giramondo trova casa

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Mentre in redazione il nostro Puccinetti ironizza sui fatti di Firenze dicendo che «si è vista solo alla fine “la mano” dell’allenatore» (e io ribatto che pensavo che Bud Spencer lo dessero su Rete4, in chiaro), prosegue la marcia di avvicinamento di MondoPallone ai prossimi europei, con i tre appuntamenti dedicati alla presentazione delle squadre (oggi toccherà alla Germania, presentata dal nostro inviato Leonardo Peruzzi), e con le facezie di “N-Euro 2012”, scovate per voi dal nostro Giampaolo Gaias. E la notizia di questi giorni riguarda proprio l’Inghilterra, a cui è dedicata l’ultima puntata.

Ma mentre Giampaolo ha ricordato come il neo-CT Hodgson sia stato «l’unico al mondo capace di far infuriare Javier Zanetti», tempo fa io stesso avevo parlato del tecnico inglese quando definì «indisciplinato» un certo Roberto Carlos, che l’anno successivo vinse la Liga guidato da un Capello che in merito disse che bastava chiedergli di difendere. Caso curioso, come anticipato e poi confermato dal nostro Marco Iannotta, Hodgson andrà a sostituire proprio Capello sulla panchina di una nazionale formata da perdenti di successo. Un po’ come è stato l’attuale tecnico del West Bromwich Albion.

Ecco, al netto di certi difetti (diamine, lo ripeto, preferire un onesto mestierante come Alessandro Pistone a un fuoriclasse come Roberto Carlos…), devo dire che Hodgson mi è simpatico, e non solo per quelle due volte che ha duettato con Giacomo-Flanagan in una vecchia edizione di Mai Dire Gol. Perché ha condotto una carriera da giramondo, con scelte non sempre felici e spesso non proprio tradizionali. Un calciatore anonimo (che è riuscito solo a rimanere ai margini della prima squadra nel Crystal Palace, dovendo poi rinunciare al professionismo) che si è trasformato in un allenatore capace di allenare in otto paesi differenti.

Anzitutto, una sfida in partenza: cominciare la carriera nell’Allsvenskan (il massimo campionato svedese), portando l’Halmstad (che ha guidato per ben cinque stagioni), che solo pochi mesi prima aveva faticato a salvarsi, ad un insperato scudetto. Era il 1976. Per dare un’idea dell’impresa, lo stesso Hodgson, nel 2009, ha dichiarato che «My greatest achievement would have to be the water-into-wine job at Halmstads in 1976» («Il mio più grande successo è stato di riuscire a trasformare l’acqua in vino con l’Halmstad, nel 1976»). Titolo che poi bisserà nel 1979, per poi trovare il primo incarico di un certo peso in patria: prima assistente e poi allenatore del Bristol City, dove però mancavano i soldi per fare la squadra (finì licenziato dopo quattro mesi).

Di qui il ritorno in Svezia, sulle panchine dell’Örebro (per due stagioni) e soprattutto del Malmö, vincendo per cinque volte la classifica della stagione regolare, per due volte lo scudetto (che si giocava ai playoff) e due coppe nazionali. E se vogliamo dire qualcosa di più, possiamo aggiungere l’eliminazione dell’Inter dalla Coppa Uefa (stagione 1989/90) grazie alla vittoria in casa per 1-0, riuscendo a impattare a San Siro con un gol a 10 minuti dal termine. Inutile dire che a Malmö erano pronti a fargli firmare un contratto a vita, ma il nostro (complice anche la tassazione locale) aveva altre idee.

Di qui il trasferimento in Svizzera (sì, ci siamo capiti), al Neuchâtel Xamax, dove riuscirà a togliersi lo sfizio di vincere anche contro il Celtic di Glasgow e il Real Madrid, guadagnandosi la chiamata come selezionatore della nazionale elvetica, di cui parlerò qualche riga più sotto. Poi l’Inter, come ben sappiamo, in due riprese; e mi piace ricordare l’exploit che sta in mezzo alle due, cioè la stagione alla guida del Blackburn Rovers: una suadra senza grossi talenti (ma con un discreto peso in attacco: Gallacher più Sutton), composta di buoni elementi, fatta girare come un orologio: se non fosse stato per la flessione che lo relegò ad un comunque ottimo sesto posto, poteva scapparci il colpaccio di arrivare nelle prime tre. Meno fortunato l’avvio (a suon di infortuni) della stagione successiva, che lo porterà all’esonero.

Cerco di accelerare: serio candidato alla nazionale austriaca nel 1999 (ma a farcela sarà invece il croato Otto Barić), una stagione non esaltante al Grasshopper, nel 2000 è candidato alla panchina della nazionale inglese, che però finirà a Eriksson anche perché Roy aveva già firmato un contratto con l’FC Copenhagen, che porterà al primo scudetto dal 1993. Poi la parentesi a Udine, un po’ di soldi presi negli Emirati Arabi Uniti, e per non farsi mancare niente il ritorno nel freddo Nord, prima sulla panchina dei Viking di Stavanger, nel Sud della Norvegia, poi su quella della nazionale finlandese; negli ultimi anni ha allenato il Fulham, preso che era in ginocchio e portato, in tre anni, fino a una Europa League da protagonista, per guadagnarsi la panchina del Liverpool post-Benítez (finisce con un addio di accordo con la società), e ora la panchina del WBA.

Più quella inglese, che è la sua terza panchina di una nazionale. Ricapitolando il suo ruolino in questi casi: la Svizzera, nelle qualificazioni a Usa 1994, supererà un girone di ferro che comprendeva l’Italia di Sacchi (poi vicecampione), il Portogallo e la Scozia, qualificandosi per la prima volta dal 1966 (venendo matata dagli spagnoli negli ottavi di finale); Hodgson lascerà poi la panchina nel 1996, dopo aver qualificato gli elvetici anche a Euro1996 (in Inghilterra, ovviamente), prima apparizione continentale.

Cosa notevolissima, il ranking FIFA, sotto il suo mandato, vide la Svizzera addirittura al terzo posto complessivo, dietro soltanto a Brasile e Germania (commento di Hodgson: «We were no more third in the world than I was a Chinaman», «Se eravamo davvero terzi al mondo, io sono cinese»). E che dire della panchina finlandese? Fallita la qualificazione a Euro2008 per soli 3 punti solo per colpa un attacco asfittico (ben cinque partite terminate 0-0), e sarebbe stata anche qui una prima volta (e anche qui un record nel ranking FIFA, con la Finlandia al 33esimo posto). La domanda, quindi, è: Hodgson è l’uomo giusto per una panchina così piena di storia, lui che ha dato il meglio in condizioni difficili? La mia risposta, sulla carta, è un sì: perché quella panchina non è facile per nessuno (Capello ha vinto ovunque, tranne lì, giusto per dire), e perché Hodgson è vaccinato a ogni sventura.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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